Coronavirus anche qua? Stavolta sì, lo ammetto, non ce l’ho fatta a ignorare il momento che stiamo vivendo. Ho cercato, però, di darvi una lettura incoraggiante del tema, per quanto sia possibile. Vi propongo, infatti, testimonianze di gente che, nonostante tutto, prova a guardare con speranze e fiducia al futuro. Non mi dilungo oltre perchè dati, spiegazioni del fenomeno, decreti (anche quello economico), direttive, o meglio ancora obblighi, su come comportarsi li sapete già, almeno spero…
Valeria Gelera, giovane di Cremona che lavora in una comunità di recupero e che ha vissuto in prima persona (sentita venerdì 6 marzo con aggiornamenti successivi). “Domenica 16 febbraio avevo il turno di notte e ho iniziato a non sentirmi bene, la mattina seguente avevo la febbre e sono tornata a casa. Martedì mi ha visitato la mia dottoressa che, dopo avermi sentito il respiro, mi ha prescritto l’antibiotico per una settimana, l’aerosol e mi ha dato giorni di malattia fino al venerdì. Ho seguito la cura e nel weekend non avevo più la febbre, perciò sono uscita. Il lunedì sono rientrata al lavoro e ho iniziato ad igienizzare l’ufficio e fare un po’di prevenzione. La sera mi sono accorta che mi era tornata la febbre, così il giorno dopo ho richiamato la dottoressa, ma era in quarantena. La sostituta mi ha detto che non poteva darmi la malattia telefonicamente e mi ha fissato un appuntamento: dopo avermi visitato, mi ha prescritto di fare una lastra.
Mi sono subito recata al centro medico ospedaliero nuovo Robbiani a Soresina, e dalla lastra è risultata una polmonite su entrambi i polmoni. Ho ricontattato la sostituta della dottoressa e, mentre ero a casa con mio marito, anche lui con qualche linea di febbre, ho provato a chiamare il 112, ma è stato un po’ inutile. La sostituta ha detto di aver segnalato via mail il mio caso e, dopo due giorni senza sentire nessuno, giovedì 27 la dottoressa di base, rientrata, mi ha chiamato stupita del silenzio e dicendomi di andare subito al pronto soccorso, perché col diabete e una polmonite in corso bisognava intervenire. Ho seguito il suo consiglio: considerata la situazione critica, dopo l’accettazione, dalle 20 di sera mi hanno vista soltanto alle 3:40 di mattino, tanto che nel frattempo temevo di essere peggiorata a causa del freddo. Mi hanno fatto il tampone dicendo che dovevo rimanere lì e ho dormito su una brandina in un ufficio per assenza di posti letto, giustamente riservati ai casi più gravi. Ero un po’ preoccupata: non ho più visto nessuno fino al giorno seguente, quando, dopo avermi fatto un prelievo arterioso al polso, hanno visto un miglioramento nel flusso dicendo che avrei potuto continuare la cura a casa, in isolamento in attesa che mi chiamassero per l’esito del tampone ma non pensavo di avere il coronavirus. Mi hanno prescritto un altro ciclo di antibiotico, spiegando di rivolgermi al medico di base per tutte le necessità. Sono stata dimessa il venerdì; quella notte mio marito, sfebbrato e su consiglio del suo medico, è andato a fare il turno di notte.
Lunedì 2 ho ricevuto la chiamata dell’ATS che mi ha chiesto con quali persone ero entrata in contatto nell’arco dei 15 giorni, perché figuravo nell’elenco dei positivi, stupiti che non mi avessero ancora chiamato dall’ospedale. Ai miei genitori, che avevo visto in quel weekend, hanno imposto la quarantena, che è scaduta sabato 7 per mia madre e martedì 11 per mio padre, perché l’avevo visto il giorno del pronto soccorso, e hanno invitato mio marito ad andare a casa di sua mamma. A tutti fu imposto di non uscire di casa fino al 15, assistiti dall’ATS che ogni giorno li contattava per verificare che non avessero i sintomi. Hanno sentito anche i colleghi con cui avevo avuto contatti il lunedì quando ero rientrata al lavoro: uno aveva la febbre ed un’altra non stava molto bene. E’ scattata l’allerta e, da quel momento, hanno iniziato ad incrementare le precauzioni con mascherine, guanti, e altre misure; è in atto una sorta di isolamento, anche se non abbiamo potuto chiudere la comunità e per sicurezza hanno fatto il tampone a tutti i colleghi che fortunatamente hanno avuto esito negativo.
Sono a casa da sola da martedì 2 marzo, è un po’ tutto strano, per fortuna ho il mio cucciolo di chow-chow a farmi compagnia e avevo fatto scorta di viveri da poco; la febbre è tornata solo di poche linee, ma poi è svanita. Ho capito che i miei non erano i sintomi di una normale influenza, ma la faccenda era un po’più subdola / complessa. Dopo giorni di silenzio in cui non sapevo che cure fare e quando avrei potuto considerarmi guarita, l’ATS mi ha messa in lista per eseguire un tampone di monitoraggio sabato 7. Il giovedì seguente mi hanno contattato dicendo che il tampone era negativo, ma che avrei dovuto eseguirne un altro nelle 24 ore successive. Ora sono quindi in attesa dell’esito del terzo, e spero ultimo, tampone. Nel frattempo continua il mio isolamento, perché mi è stato detto che l’aver contratto il virus, soprattutto nel caso di soggetti a rischio, non è garanzia di immunità.
E’ancora tutto in fase di studio, io sono stata proprio tra i primi casi a Cremona, quando ancora il problema era forse un po’sottovalutato. Io stessa non mi ero ancora resa conto di quanto fosse grave la situazione. Visti i casi di coronavirus in aumento, la mia preoccupazione è soprattutto quella di poterlo trasmettere mettendo a rischio i miei familiari e altri. Sono poi dispiaciuta di non essere al loro fianco, sono vicina spiritualmente ai miei colleghi educatori che proseguono a lavorare in comunità. Il ricovero in ospedale mi ha fatto capire la gravità del problema, i medici di altri reparti si rendevano disponibili, pur non essendo del settore e facevano quello che potevano. Leggendo l’intervista all’anestesista Annalisa Malara che aveva ipotizzato il coronavirus al paziente 1, mi è venuto in mente che il 30 gennaio sono stata a Codogno dalla mia podologa che non poteva ricevermi a Cremona. La cosa mi fa pensare… ma so che chiedermi dove e in che modo posso aver contratto il coronavirus sono interrogativi che forse rimarranno senza risposta e che si perdono nell’attuale clima”
Roberta Tosini, giovane di Cinisello Balsamo, lavora nella ricerca e selezione del personale in un’azienda a Milano. (intervistata sabato 7 marzo)
Come sta vivendo questo periodo?
Come penso tutti, la vivo come una cosa inaspettata. Sento preoccupazione, ma anche voglia di guardare avanti e credo che, rispettando tutti le regole, il corona virus passerà.
Cosa pensa delle misure adottate dal Governo? È d’accordo o bisognava essere più o meno restrittivi ?
Sono d’accordo con le misure adottate, anzi penso che avrebbero dovuto essere restrittive fin dall’inizio. Il problema è che vanno rispettate e poi ci vuole anche una logica, cioè devono valere per tutti, quindi sarei per regole ancora più rigide; ad esempio chiudere la metropolitana, i bar, i ristoranti. La speranza è che non si debba arrivare a restringerle.
Ritiene che questa triste esperienza ci stia insegnando qualcosa? Cosa si porterà dentro?
Ci insegna ad esser uniti e a non pensare solo al proprio orticello. Personalmente, mi fa riflettere perché hai momenti di solitudine e ciò porta a pensare e a riscoprire il valore delle persone, a quanto è importante vivere bene il presente senza rimandare, perché non sai quello che ti aspetta.
Ritiene positiva la possibilità dello smart working?
Sì, perché l’avevo già fatto in passato. Dal 25 febbraio lavoro da casa, lo smart working è un’opportunità positiva, ma non nel lungo periodo. Se lo si fa tutti i giorni, diventa alienante e mi manca l’interazione sociale, il rapporto con le persone. I colloqui posso farli con Skype, ma serve l’interazione con i colleghi.
Corriere Tv
Giuseppina Colturani, medico di Lodivecchio che ha lavorato all’ospedale di Lodi. (intervistata il 13 Marzo)
Come sta vivendo questo periodo?
Sto vivendo questo periodo, penso come tutti, con una certa apprensione, ma con la convinzione che, se tutti faremo la nostra parte, ne usciremo. Certo il pensiero va alle persone che non ce l’hanno fatta, ai conoscenti che sono in rianimazione, ai colleghi e agli infermieri che sono, ormai stremati, in prima linea. Sono in pensione da due mesi e in 40 anni non ho mai dovuto affrontare una simile situazione; le urgenze sono molto impegnative e coinvolgenti anche da affrontare singolarmente. Perciò, immagino che una situazione del genere, per chi la vive da vicino, sia destabilizzante. Ogni paziente che perdi è una sconfitta e una persona che rimane sempre dentro i tuoi pensieri.
Cosa pensa delle misure adottate dal Governo? È d’accordo o bisognava eseere più o meno restrittivi ?
Penso che ad oggi il governo abbia preso delle decisioni sensate e che tutte le misure adottate siano coerenti. Anche chi ci governa si è trovato nella situazione delle rianimazioni: di fronte ad una emergenza improvvisa, bisogna agire e decidere. Forse si poteva fare diversamente, i “sapientoni” avrebbero sempre fatto meglio, ma un conto è parlare un conto è fare. E le restrizioni vanno condivise e rispettate con buon senso; lo stare in casa è l’unica arma che abbiamo per contrastare la diffusione del virus.
Ritiene che questa triste esperienza ci stia insegnando qualcosa? Cosa si porterà dentro?
Questa esperienza ci sta sicuramente insegnando tanto, per chi ci vuole riflettere. Molti di noi hanno tirato fuori la parte migliore dell’essere umano: la solidarietà, la condivisione, il rispetto per le regole e per gli altri. E’ vero che qualcuno ha dato prova di una stupidità e di un egoismo senza confini. Penso, però, siano pochi rispetto alla stragrande maggioranza che ha capito la situazione e mantiene dei comportamenti corretti per sé e per gli altri.
C’è un messaggio che vorrebbe dare a tutta l’Italia che si trova nella situazione della prima zona rossa?
Direi che l’esempio del “mio” lodigiano insegna: un grosso sacrificio, ma ne è valsa la pena, perché i contagi si sono azzerati.
Barbara Ferrazza, titolare con Jessica Frigo di una profumeria a Pinzolo.(intervistata sabato 14 Marzo)
Come sta vivendo questo periodo?
Stiamo vivendo questi giorni con molta preoccupazione per quello che succederà, dato che avere una piccola attività in una realtà “bloccata” è difficile: non si lavora, ma ci sono comunque molte spese fisse da affrontare, quindi il pensiero c’è. Nonostante questo, siamo lo stesso positive e speriamo si risolva tutto al meglio e nel più breve tempo possibile.
Cosa pensa delle misure adottate dal Governo? È d’accordo o bisognava eseere più o meno restrittivi ?
Non siamo d’accordo con le misure adottate dal governo perché la categoria profumerie è stata inserita nella lista delle attività che possono rimanere aperte in questo momento di emergenza sanitaria. Noi non condividiamo : primo perché non riteniamo che i prodotti di profumeria siano di prima necessità, secondo perché la vendita di questi prodotti può essere pericolosa, sia per noi che per i clienti, per l’inevitabile contatto. Forse sarebbero state meglio misure più restrittive, noi per il momento abbiamo comunque deciso di tenere chiuso, poi vedremo in base alla situazione come continuare e quando riaprire. Facciamo una doverosa precisazione: il negozio è chiuso, ma con gli acquisti on line siamo sempre operative.
Ritiene che questa triste esperienza ci stia insegnando qualcosa? Cosa si porterà dentro?
Questa triste esperienza ci sta insegnando che non bisogna mai dare nulla per scontato e che tutto può cambiare in un attimo. Ciò, però, ci sta rendendo ancora più forti e ci porterà tanta grinta per affrontare al meglio il rientro alla normalità.
Grazie a Valeria, Giuseppina, Roberta e Barbara per aver accettato di raccontarmi come vivono questi giorni. Ringrazio particolarmente Valeria perché si è proposta dandomi l’idea di sentire altri. Non escludo di continuare con altre testimonianze. Quindi, se leggendo queste testimonianze, vi è venuta voglia di dire la vostra, siete ben accetti.
Intanto vi lascio con le parole leggere del poeta Roberto Piumini.
https://video.corriere.it/milano/filastrocca-che-cos-che-aria-vola/9860a640-66fa-11ea-a26c-9a66211caeee
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