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Gaber: un artista veramente eclettico

Nel 2023 è stato celebrato, tra i vari anniversari, anche il ventennale della scomparsa del grande Giorgio Gaber, da molti considerato tra i più grandi cantautori, cabarettisti italiani, inventore del teatro canzone. La sua assenza si avverte davvero molto nella società di oggi e spesso ci capita di chiederci cosa direbbe di fronte ad un determinato avvenimento.

Ai tanti contributi offerti da personalità importanti per ricordarlo, aggiungo modestamente anche il mio. Ecco, quindi,una piccola selezione delle sue canzoni più significative.

La libertà (1972)

Questo è uno dei testi più rappresentativi del pensiero di Gaber e rientrava nello show Teatro Canzone chiamato “Dialogo tra un impegnato e un non so“. La canzone venne poi pubblicata con lo stesso titolo in un album dal vivo, registrando gli spettacoli svolti a Genova nello stesso anno.

Si può osservare un percorso che parte dalla libertà dell’uomo selvatico e passa a quella dell’essere umano che con la ragione ritiene la libertà intesa in senso democratico.

Il messaggio più rilevante è espresso nel ritornello che evidenzia come debba prevalere il senso di appartenenza ad una comunità.

Un’idea (1972)

Un’altra canzone che testimonia il modo di ragionare di Gaber: nell’introduzione  c’è monologo semplice e molto diretto, che alla fine ci dice cambiarsi davvero, è cambiarsi di dentro che è un’altra cosa. Infatti, in questo testo il cantautore milanese enumera alcune situazioni in cui in teoria l’idea che vogliamo portare avanti sembra semplice. Poi, però, quando si tratta di realizzarla tutto si complica. Un’idea è soltanto un’astrazione finché non troviamo dentro di noi la forza di cambiare, di possederla e usarla per migliorare qualcosa. Le idee non si possono “mangiare”, come dice Gaber nel celebre ritornello, altrimenti sarebbe fin troppo facile. Attuare le idee e gli ideali allora è un iter che deve avvenire prima di tutto con la nostra crescita personale.

Destra sinistra (1994)

Questo testo uscì quasi trent’anni fa nell’album “Io come persona” e si focalizza sulle differenze tra destra e sinistra in modo satirico, come spesso fa Gaber, che evidenzia come non sia così semplice individuarle. E se non lo era già nel 1994, a maggior ragione oggi…

Nel 2022, in un’intervista a Aldo Cazzullo, il giornalista Vittorio Feltri si attribuì una delle strofe più ironiche (“il cesso è sempre in fondo a destra“). Nell’archivio SIAE, però, il testo risulta registrato interamente come opera di Sandro Luporini, storico collaboratore di Gaber.

Il conformista (2001)

Con questa canzone, contenuta nell’album “La mia generazione ha perso”, uscito a inizio secolo, Gaber ironizza sul conformista, evidenziando caratteristiche ma anche molte contraddizioni. Emerge una dura critica al conformista che, proseguendo a mutare opinione, è tutto tranne che tale. Se ci pensiamo bene, lancia una frecciata tutti noi, perché potremmo essere i primi ad essere conformisti.

Io non mi sento italiano (2003)

Questo testo diede il nome all’ultimo album di Gaber, uscito poche settimane dopo la sua morte.

E’ una lettera immaginaria al Presidente della Repubblica in cui il cantautore mostra di non nutrire più illusioni sull’Italia, usando come esempi sia fatti d’attualità che rimandi al passato. Non manca, comunque, qualche motivo di fierezza fino a quel ritornello ormai famoso: “Io non mi sento italiano ma per fortuna o purtroppo lo sono“.

Avrei voluto scrivere di più e prima ma, come già detto in altre circostanze, scrivere per Mondo Padano e il Corriere del Trentino richiede veramente tanto impegno, pur essendo comunque molto gratificante, sia chiaro.