intervista Semprini guerra Ucraina

Intervista a Semprini: eredità del 2022 tra guerra in Ucraina e non solo

Sei anni fa, forse qualcuno se ne ricorderà, il primo pezzo dell’anno fu l’intervista ad un illustre collega esperto di politica internazionale, Guido Olimpio. Quest’anno, considerata la grave situazione che stiamo vivendo a due passi da casa nostra, ho interpellato Francesco Semprini che scrive su La Stampa, spesso come corrispondente da zone di guerra. E l’ultima che ha seguito è, come potete immaginare, quella in Ucraina.

  • Ripensando all’anno da poco finito, credo non ci sia dubbio che la guerra sia stato l’evento più rilevante a livello mondiale…

Certo, perché ritengo sia un evento di portata storica e socio economica assolutamente di impatto. Si tratta del ritorno di un conflitto in Europa, cosa che di fatto non accadeva dai tempi dei Balcani, con la differenza che una delle parti coinvolte è una potenza nucleare mondiale. Questa guerra ha rimesso in discussione tutta una serie di elementi, tra cui il ruolo della Nato e la leadership americana. Emerge inoltre  prepotente la volontà autocratica di andare a mutare l’ordine mondiale per costituirne uno nuovo in cui il  potere occidentale sia fortemente contro bilanciato da uno che metta in discussione il sistema democratico. Questa guerra, inoltre, ha una grave portata economica perché alla Russia è legata la questione dell’energia con conseguenze sull’economia in generale e quindi per tutti: basta pensare all’aumento dei prezzi… Infine, il conflitto in corso è una questione di carattere sociale, perché ha creato un forte dibattito tra chi sostiene a spada tratta l’Ucraina, chi persegue altre strade avendo come obiettivo la pace da raggiungere anche con un allentamento degli aiuti militari e addirittura chi sostiene che la Russia abbia le sue ragioni.

Semprini in Ucraina
  • Quali sono le differenze e le somiglianze con gli altri conflitti bellici che ha raccontato sul posto?

La guerra in Ucraina è completamente diversa, molto più dirompente, vede il ritorno alle trincee, quindi ha le caratteristiche di guerra di posizione, ma anche, nello stesso tempo, per la presenza di tanta tecnologia e propaganda. È una guerra sfaccettata con tantissimi aspetti che la rendono molto complessa, difficile e strana. Sicuramente non ha nulla a che vedere con quelle in Libia, in Afghanistan o con la lotta al terrorismo; è una guerra di  magnitudo molto più elevata, basti vedere i bombardamenti che interessano anche la popolazione civile. Forse la similitudine con altri recenti conflitti è che anche questa la definirei una guerra per procura: da una parte l’Ucraina, considerata una sorta di bastione della libertà di tutta l’Europa e degli interessi americani, dall’altra la Russia che rappresenta comunque un modello di autocrazia comune ad altri Paesi e  che, come già detto prima, vuole cambiare un po’ l’ordine mondiale. Così la Cina, pur non essendo coinvolta, se non per sostegno politico, ne trae beneficio.

Semprini con un profugo siriano nell’ultima battaglia contro lo stato islamico febbraio 2019
  • Quali sviluppi prevede nel nuovo anno?

Credo che il conflitto proseguirà, perché non ci sono i presupposti minimi per una trattativa nemmeno per risolvere alcune questioni nodali, dato che a malapena si è riusciti a stipulare l’accordo sul grano e a gestire uno scambio di prigionieri. Ritengo, anzi, che in primavera ci sarà un altro picco verso l’alto dello scontro, con un’altra controffensiva ucraina alla quale la Russia risponderà senz’altro. Non credo che prima dell’estate si possa arrivare all’inizio di una trattativa e che ciò si verifichi dipende da quanto dura, dallo stato di salute delle due parti e per quanto l’Occidente potrà sostenere un conflitto fornendo armi e finanziamenti a Kiev.

il giornalista in Ucraina
  • Chi è stato l’uomo del 2022?

Il Time ha eletto Zelensky e posso esser d’accordo, perché ha avuto il pregio di aver fatto il presidente di guerra. Putin (personaggio in negativo, visto che la guerra è stato il fatto dell’anno) era convinto che sarebbe scappato e che tutto l’impianto di sicurezza sarebbe crollato con la fuga del leader. Il Presidente ucraino, invece, ha interpretato in maniera perfetta il ruolo, ha indossato letteralmente i panni del combattente, vestendosi di verde militare e ha resistito e sta resistendo: è comparso sempre al suo posto, e con i suoi interventi in tutti i consessi internazionali ha cercato consensi  alla sua idea che fa di questa  guerra la difesa della libertà occidente. Non dimentichiamo, infine , che ha costretto Putin a cambiare strategia almeno tre, quattro volte.

Zelensky (Ucraina) e Putin (Russia) www.ilfoglio.it
  • E la donna dell’anno?

Bravo, giusta domanda. Metterei, infatti, per la rilevanza che hanno avuto anche le donne che si sono ribellate in Iran alla teocrazia perché credo, e non sono l’unico a pensarla così, che il regime non sia mai stato così sotto pressione come adesso, perché le proteste hanno non solo una componente economica, ma anche sociale, culturale e politica. Stiamo, infatti, parlando del fatto che c’è qualcuno che mette in discussione le regole che gli ayatollah impongono perché si considerano coloro che interpretano ciò che dice dio. Tutti hanno delle donne in famiglia e credo loro non stiano zitte, ma siano pronte a combattere per le loro idee e i loro diritti. Quindi, le donne iraniane, ma anche quelle di tutto il mondo che manifestano al loro fianco e, più in generale, non si piegano alle ingiustizie,  meritano questo riconoscimento e non solo per il  2022, perché non si fermeranno, perciò anche per il 2023.

iodonna.it

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  • Cosa pensa potrà cambiare nella presidenza Biden dopo le elezioni di metà mandato?

Bella domanda nel senso che non ho un grande apprezzamento per questo Presidente, perché non credo sia all’altezza del compito che ha. Aldilà di questo, con un congresso che ha la camera sotto il controllo dei repubblicani, credo ci saranno complicazioni soprattutto per alcune politiche molto liberal e progressiste. Sarà interessante capire cosa accadrà per le presidenziali: Trump ha già ufficializzato la sua corsa, l’ha fatto Mike Pence, che era il suo vice nei quattro anni alla Casa Bianca, e credo presto lo faranno DeSantis e Pompeo perciò penso ci sarà una battaglia molto interessante. Siamo in una fase post trumpiana e staremo a vedere che forma prenderà via via con questi personaggi tutti da studiare. Per quanto riguarda i democratici, l’idea che Biden voglia ricandidarsi fa rabbrividire non solo me, perché ha chiare défaillance di tenuta psicofisica ed è, quindi, una persona che rischia di far perdere il partito. Sarà, perciò, interessante capire cosa tirano fuori dal cilindro i democratici, quale leader di riferimento porteranno a concorrere nelle primarie. Ci tengo a dire, a questo punto, che penso il fenomeno Trump sia il risultato della mancanza di leadership:  l’America non è riuscita a sfornare leader veri, ma adesso credo sia il momento in cui possono scendere in campo figure che potrebbero riuscire ad esser leader del domani e quindi ritengo sia un’occasione importante per la politica americana.

Trump e Biden larepubblica.it
  • Si sente dare un giudizio dei primi mesi del governo Meloni, in particolare sul settore in cui è specializzato, la politica estera?

Non mi occupo di politica italiana, cerco di non dare giudizi anche per non esser trascinato in dibattiti che poi diventano risse. Quello che posso dire è che in politica estera la premier Meloni ha quantomeno mantenuto dei punti che aveva dichiarato in campagna elettorale, il filo atlantismo e il sostegno all’Ucraina. Dal mio osservatorio di New York e dal fatto di aver fatto cento giorni in quella Nazione, infatti, mi sento in grado di poter dire che nei fatti ha dimostrato di avere mantenuto questi due punti principali della dottrina di politica estera che aveva presentato durante la campagna elettorale.

Zelensky e Meloni, viriglionotizie.it
  • Quale il significato del premio ricevuto e che sentimenti ha provato quando ha ricevuto il premio UN Correspondent Association Awards all’Onu oltre alla profonda gratitudine di cui ha parlato nel pezzo su La Stampa?

In realtà c’era stato un precedente nel 2014, quando ho vinto la medaglia d’argento per il mio  racconto della caduta di Mosul con la fuga dei civili verso il Kurdistan facendo il loro stesso tragitto: un’emozione che, quindi, in parte avevo già provato. Si tratta di un premio molto prestigioso, perché concorrono giornalisti da tutto il mondo e riguarda affari internazionali delle Nazioni Unite e l’hanno vinto nomi ben più noti di me. Sono onorato per un motivo fondamentale: credo abbiano premiato il giornalismo sul campo, considerato che sono stato uno dei pochissimi ad esser rimasto cento giorni in Ucraina. Sono contento perché è stata premiata la voglia di raccontare le cose in presa diretta, perché credo che l’Ucraina sia il principale conflitto del nostro periodo e vada perciò valorizzato chi lo racconta. Ho provato grande emozione e ho sentito senso di gratitudine per chi (la mia famiglia, gli amici più stretti)  ha sempre sostenuto la mia voglia di andare sul posto e orgoglioso anche verso me stesso, per esser sempre stato presente, rischiando… Insomma, ogni tanto un po’ di auto apprezzamento ci sta e fa bene. Ho pensato, soprattutto, e questa è la cosa fondamentale, a quelli che fanno il mio lavoro e per farlo hanno perso la vita e ho dedicato loro il premio. Posso assicurare che questa non è la fine, ma che continuerò a fare il mio lavoro perché è giusto così.

  • Quando ha iniziato, chi erano i suoi maestri?

Ho cominciato a fare il giornalista un po’ per caso, tornando negli Stati Uniti dove mi ero trasferito da studente. Ciò che mi ha portato a fare il corrispondente di guerra è stato un viaggio a Guantanámo: Obama aveva espresso la volontà di chiudere il carcere e, quindi, in tanti siamo corsi lì, anche se poi alle parole non sono seguiti i fatti. Rimasi, però, molto impressionato dal carcere e ricordo che mi chiedevo come mai le persone manifestassero il fanatismo in modo così violento. Per quanto riguarda la seconda parte della domanda, non ho avuto un  unico modello di riferimento, ma posso dire che ce ne sono stati diversi, anche se uno mi ha fatto imparare molto: Fausto Miroslavo, uno dei corrispondenti più bravi.

Miroslavo e Semprini in Libia
  • Oltre a quelli che ha scritto in quel pezzo sul corrispondente di guerra, quali i principi che si è dato e che cerca di rispettare?

Cercare sempre di essere oggettivo, non enfatizzare troppo quello che vedo perché la guerra è già carica di intensità, di aspetti, soprattutto negativi. Cerco di raccontarla astraendomi dalle mie emozioni e con la massima lucidità possibile senza farmi trascinare dalle mie emozioni, essere il più aderente possibile alla realtà e sempre lucido anche nella gestione delle situazioni sul campo.  La paura è qualcosa che ti mantiene vivo e ti fa avere il coraggio di superarla; chi dice di non averne mi sembra un pazzo o un cretino. Bisogna poi essere anche preparati, perché la preparazione è un elemento molto importante e ricordare che cercare la verità, nella politica, significa  andare a sentire diverse fonti, oltre quella che è l’apparenza e rimanere sempre aderenti alla realtà. Ogni articolo, a meno che si tratti di una cosa palesemente vera, dovrebbe avere una componente investigativa, e comunque  scavare laddove è possibile con coerenza minima unisce tutti i tipi di giornalismo.

Semprini in Ucraina
  • Che consigli vuole dare ai giornalisti che cominciano la carriera?

Essere sicuri di avere tanta passione, perché non è un mestiere facile anche se appassionante. Bisogna avere anche resistenza, perché le difficoltà sono molte e mi rendo conto che sono molte più di quelle che ho incontrato io all’inizio. Il giornalista deve sempre migliorarsi, perfezionarsi  e approfondire.

Ringrazio molto Semprini per il tempo e le foto che ha dedicato a me ed anche a voi che avete letto la sua intervista che penso possa offrire molti spunti di riflessione. Una bella pagina davvero!