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Al Mistero dei Monti storie di disabilità e resilienza

L’estate ci sta per lasciare, ma voglio continuare a proporre i resoconti di alcuni eventi della diciannovesima edizione del festival Mistero dei Monti, perché Settembre è un mese che invita alla riflessione.

Il secondo appuntamento, cui ho partecipato, “Che la dritta via era smarrita”, si è tenuto nel pomeriggio di giovedì 5 Agosto nel Salone Hofer e ha avuto come protagonisti tre giovani, veri esempi di resistenza e resilienza alle difficoltà fisiche. (È d’obbligo, alla data attuale,  un richiamo agli atleti che hanno partecipato alle Paralimpiadi, conclusesi pochi giorni fa e che, come ha scritto Saviano sul Corriere della Sera del 5 Settembre: “…sono l’emblema di quello che fu lo spirito greco della sfida sportivaagonismo tra la lotta che si ingaggiava con il proprio corpo tra il sé che volevi provare ad essere e il te che eri già..”.

Ma torniamo all’evento di Madonna di Campiglio che  è stato introdotto da Monica Bonomini, Presidente del Consiglio Comunale di Pinzolo: “Porto il saluto dell’amministrazione e ringrazio chi porta avanti con attenzione la rassegna con argomenti e personaggi importanti. È stato un anno difficile e perciò, ancora più delle scorse edizioni, ringrazio gli affezionati. Gli ospiti di oggi ci insegnano che con dedizione, tenacia e amore si riesce ad arrivare in alto e a superare ogni ostacolo.”

Ha preso quindi la parola uno dei due organizzatori, Giacomo Bonazza, che ha dichiarato: “Ci è sembrato quasi logico dedicarlo a Dante che pone in atto una sorta di materializzazione di uno slancio di tipo esistenziale. È un genio della bellezza, della teologia, ma anche dell’alpinismo perché ci insegna anche questa tecnica. Ci è vicino, rappresenta un contemporaneo che ci precede e noi umilmente cerchiamo di trasmettere qualche suggestione.” Dopo il doveroso accenno al tema di questa estate, è quindi passato all’evento in programma: “Sono proprio tre storie bellissime di ascesi e proprio domani la liturgia cristiana celebrerà la trasfigurazione, un luminoso monte che abbiamo dentro anche noi.”

Roberta Bonazza ha aggiunto: “La grande commedia di Dante rimanda a una densità enorme e inizia con elementi già faticosi, perché si parla di una via non lineare. L’insegnamento che ci giunge è, quindi, che non è possibile salire, se prima non si discende e la vita ci insegna che ogni cosa va conquistata.  Quando ci troviamo un ostacolo è la prova che ci fa capire quanto siamo in grado di avanzare. Vogliamo fare con voi questo percorso.”

Ha preso la parola per primo Simone Salvagnin: “Nasco a Schio, in provincia di Vicenza, in un ambiente di montagna alla quale sono molto legato, perché ho passato, fin da piccolo, tutte le estati sui monti. Ero un ragazzino, quando si manifestò una malattia degenerativa della retina che in forma maculare mi ha tolto, via via, la vista: oggi ho la percezione di sagome e ombre solo con la luce artificiale.

Quando tutto è cominciato, all’inizio dell’adolescenza, la mia vita fu segnata anche dalla morte improvvisa di mio padre. E, a rendere tutto molto difficile da sopportare, la malattia  peggiorava inesorabilmente e avevo smesso di praticare sport, perché tornare a far le stesse discipline di prima sarebbe stato per me veramente frustrante.” Simone ha poi spiegato: “Mi sono rifugiato in una dimensione mentale, usando una metafora, ho capito che la vita ti carica di zaini pesanti e tu puoi deciderti se inginocchiarti o imparare a portarli. Ho ricominciato a usare il corpo, scoprendo che mi riportava ad aver sensazioni  positive. Ho ripreso gli sci, sebbene abbia dovuto reimparare, e ho ricominciato a fare brevi escursioni in montagna. Così, piano piano lo sport è diventata la mia professione: sono Atleta della Nazionale Italiana Paraclimbing e responsabile nazionale del settore paralimpico e amo prendere i treni che passano.” L’atleta ha, quindi, parlato della realizzazione di un suo progetto: “ Ho dato vita ad un blog, simonesalvagnin.it  e ho deciso di compiere un viaggio in bici: verso dove non sapevo, nel senso che non avevo idea di dove stavo andando e nemmeno se sarei tornato. Il 4 giugno 2010 io e altri amici ci dirigemmo in bici verso  Est con l’obiettivo di  mettermi alla prova, perché sentivo che ne avevo bisogno. Non sono ciclista, ma persona che usa il corpo per fare esperienze. Siamo andati in vari Paesi, tra cui Serbia, Turchia, Georgia, Iran, Uzbekistan..e sono tornato: un viaggio estremamente interessante e formante.

Prosegue parlando delle successive tappe: “Tornato in Italia, divenni un professionista,  spendendo energie per nascondere la mia disabilità.  Poi mi sono convinto che non aveva più senso nasconderla, ho cercato di capire cos’era per me e ho deciso di chiamarla particolarità. Ho percorso un bel po’ di strada, non sempre facile, ma che è stata utile per aumentare la mia consapevolezza. Dieci anni fa mi cimentai in una gara di sci ma caddi; passai all’arrampicata, entrai appunto nella nazionale e partecipai al primo mondiale come rappresentante della nazionale stessa. Lì conobbi il mio collega di cordata e di avventura che ora vi presento, Urko Carmona,  spagnolo, primo atleta, in questa specialità, a superare l’amputazione di una gamba, l’unico ad aver vinto il premio rock legend e il primo ad essere guida di arrampicata ufficialmente abilitato.”

A questo punto la parola passa a Urko: “ Ringrazio di esser qui e inizio dicendo da dove vengo: mio papà è originario di Leon, città della Castiglia, mentre mia mamma è basca, ma si sono conosciuti a Parigi e io sono nato a Barcellona. Già da questo si capisce come io non abbia avuto una residenza fissa: infatti ho vissuto inizialmente alle Canarie, poi per una parte importante dell’infanzia, dai sei a dieci anni, sono stato in India, dove si è formato il mio modo di essere, la mia filosofia di vita. Ritengo che quella Nazione, a cui devo tanto, sia il posto ideale per un bambino. In seguito, mi sono trasferito ad Alicante, dove una delle cose che più mi piacevano era potermi arrampicare sugli alberi e correre. Così, è  iniziato l’amore per l’arrampicata e tutti gli anni, una volta finita la scuola, in estate andavo sui Pirenei partendo dal rifugio di un amico di mio padre.” Lo spagnolo arriva, così, alla dolorosa svolta: “ Nel 1997 ebbi  un incidente in strada: sono stato, infatti, investito da un camion, ho sbattuto la testa e sono andato in coma, perdendo anche una gamba, la destra.  Mi hanno proposto la protesi, ho accettato e ripreso l’attività fisica. Ho capito che la fatica più grande era mettere la scarpetta alla protesi e la seconda, un problema serio, trovare gente con cui a andar a scalare.” (“Non tutti hanno voglia di venire con noi! Sottolinea Simone ). E Urko prosegue dicendo: “Sono stato fortunato perché ho trovato  ragazzi giovani con cui condividere la passione vera, che supera le disabilità.”

Riprende la parola Simone per una doverosa precisazione: “L’arrampicata, sportiva con varie declinazioni, proprio da quest’anno è stata inserita anche alle Olimpiadi.”

Prosegue Urko: “Abbiamo via via aumentato il livello di prestazioni, ma non avere una protesi performante diventava un impedimento, così abbiamo iniziato a toglierla, arrampicandoci senza.  E, la mia vita dal 2012, è dedicata all’arrampicata sportiva. Non mi sono posto limiti, l’unico problema è trovar tempo. Con Simone ci siamo conosciuti ad Arco nel primo campionato del mondo, abbiamo trovato affinità ed è nata una vera amicizia e abbiamo deciso di scalare e arrampicare insieme. La gara è un ottimo stimolo, perché scaliamo montagne per scalare noi stessi. “ Conclude: “Anch’io preferisco usare la parola particolarità. La cosa più importante è che l’integrazione passi da un rapporto a due e che si raccontino le esperienze di vita, per una vera condivisione.

Per ultima, è intervenuta Nicolle Boroni, giovane di Bocenago, attiva nella APT di Madonna di Campiglio, che ha raccontato la sua esperienza: “A quattro anni ho perso la mano nella macelleria di famiglia. Gli anni più difficili sono stati quelli dell’adolescenza, perché l’aspetto fisico nella società conta ancora tanto, soprattutto a quella età…. Cercavo mille escamotage per nascondere la mia menomazione, la vivevo come una debolezza. Dopo la terza media, avrei voluto frequentare un istituto sportivo, ma mi dissero che non potevo e  a sedici anni è una delle cose  più dure da sentirsi dire.” Continua spiegando come ha posto rimedio: “ Diventava difficile trovare un’altra strada. Ho dovuto cambiare indirizzo di studi, cercando di convincermi che non volevo più sentire parlare di sport, finché alcune amiche mi hanno convinto e mi sono appassionata all’arrampicata. Sentivo che qualcosa si stava smuovendo e ho capito che in realtà persone, che non sapevano com’era la mia situazione, mi avevano convinto che non avrei potuto fare una certa cosa, ma non era così!

Nicolle ha terminato lanciando “…due messaggi importantissimi. La mia impresa più grande è quella di avere imparato ad apprezzare il mio corpo, vedendo in esso non una mancanza ma, al contrario, un valore aggiunto. Avrei potuto fermarmi, invece, ho preso atto e mi sono detta vediamo cosa posso fare. Perciò vi dico: non fate caso ai limiti, poiché l’importante è sentirsi forti, non esserlo. Infine, vi invito a seguire  l’iniziativa Brenta open, credo tantissimo in questa iniziativa (arrampicare le Dolomiti) rivolta alle persone con la mia particolarità, perché le guide che vi lavorano, hanno una nuova visione della disabilità e dei suoi limiti,  hanno capito come accoglierci e sanno guidarci e indirizzarci.”

Che dire? Non posso che rinnovare i complimenti fatti di persona quella sera ai tre giovani per la loro tenacia e anche agli organizzatori per aver dedicato un evento del Mistero dei Monti ad un tema importante che ha dimostrato a tutti, proprio come le Paralimpiadi, di cosa sono capaci coloro che la vita ha messo davanti a situazioni impreviste e molto dolorose.