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Coronavirus: la speranza non muore mai (prima parte)

Non avrei voluto, ma… Purtroppo il Coronavirus è tornato d’attualità, con gli effetti negativi che già conosciamo, sia di tipo sanitario che economico. Mi pare perciò opportuno riprendere il discorso sempre, però, nel modo che avevo adottato nei mesi scorsi.
Ecco, quindi, tre nuove testimonianze di come sta vivendo la gente comune la nuova ondata di Covid19.

Daria, studentessa al quarto anno di un liceo classico di Roma. (Sentita il 27 Ottobre)

Come ha vissuto, e sta vivendo, questa triste esperienza?
Dunque, questo periodo l’ho vissuto in maniera abbastanza strana. Quando il 3 marzo avevano chiuso scuola, ero in parte molto felice, poiché, sottovalutando il virus, inizialmente l’ho presa come una pausa da tutto lo stress scolastico. Nel momento in cui, però, hanno annunciato che la quarantena si sarebbe protratta fino a data incerta, mi ha assalito un senso di tristezza incredibile, poiché non avrei visto il mio ragazzo e i miei amici per un lungo periodo. Durante la quarantena le mie giornate erano sempre le stesse, facevo sempre le stesse cose; ho iniziato a pensare più a me stessa, ma per me è un male pensare in solitudine, e così per tutto il periodo di lockdown non ho mai avuto una giornata in cui sono stata veramente felice.
In questa seconda fase sono sì preoccupata, ma anche fiduciosa: preoccupata perché c’è ancora gente che continua a minimizzare o addirittura negare l’esistenza del coronavirus (e sono le stesse che rischiano di farci tornare in lockdown); speranzosa perché magari entro dicembre trovano un prototipo di vaccino e quindi tutta questa situazione man mano sfumerà in una migliore.

Cosa pensa delle misure e delle scelte prese adottate dal Governo nel corso di questi mesi, in particolare dal Ministro dell’Istruzione, visto che sei una studentessa?
Per quanto riguarda la DAD, con la quale abbiamo portato avanti e chiuso lo scorso anno scolastico, è stato un fallimento. E’ vero che almeno abbiamo fatto lezione e ci siamo portati avanti col programma scolastico, ma interrogazioni e compiti potevano essere svolti non dall’alunno, ma da familiari a casa… Infatti si è verificato che molti studenti, che di solito avevano voti abbastanza bassi, con la DAD hanno visto la loro media alzarsi, mentre altri, facendo di testa propria, hanno avuto la media più bassa dei furbetti. Poi, alcuni professori si servivano della DAD perché facessimo di più perché “tanto state a casa”… Un ragionamento che nonn teneva in considerazione la situazione che si stavamo vivendo.
Riguardo le ultime misure, il governo, come i precedenti, ha sbagliato tutto, questo perché prendono le decisioni sempre persone che non hanno mai avuto a che fare con l’ambito scolastico, quindi, non sanno come funziona, né hanno cercato di mettersi nei panni di studenti e professori. Ciò si può vedere in questi giorni, con un dpcm a settimana che modifica le lezioni scolastiche, mentre per riorganizzare tutta una scuola ci vuole tempo. Sono abbastanza delusa, perché potevano gestire il tutto molto meglio, magari parlando delle misure di sicurezza già da giugno – luglio, invece si sono ridotti all’ultimo e hanno fallito. Capisco che la situazione è nuova per tutti, ma io chiedo semplicemente più cura e organizzazione… Questa triste esperienza porta noi giovani a pensare che in Italia non l’avremo mai.

Era fiduciosa per il ritorno in classe a settembre? Sarebbe dovuto avvenire prima secondo lei?
Sì, ero abbastanza fiduciosa; la mia scuola ha detto che sarebbe ritornati in presenza, ovviamente con le dovute precauzioni, mascherina, distanza interpersonale di 1 metro, entrata a fasce di orari diversi a seconda della sezione.
Secondo me, il rientro in presenza non sarebbe potuto avvenire prima, poiché a maggio ancora c’erano molte zone rosse o comunque zone in cui il rischio di contagio era molto alto. L’unica cosa che mi sento di criticare è che avrebbero dovuto pensare prima di tutto alla scuola, quando invece si sono dedicati maggiormente, ad esempio, al calcio, o si soffermati su dettagli inutili ( banchi a rotelle…).

Com’è poi andato il rientro?
È stato particolare, la mia scuola ha iniziato tutta in presenza con l’entrata alternata delle classi. Le prime due settimane facevamo tre ore al giorno… Successivamente, una settimana è stata di quattro ore giornaliere, anche qui con ingressi e uscite sfalsate. Poi ci sono stati alcuni casi positivi e si è deciso di fare due settimane di DAD. E’, poi, uscito il decreto del 50% di DAD, quindi mi sono fatta un’ulteriore settimana a casa che, per quanto fastidiosa, è stata necessaria per evitare ulteriori contagi. Questa settimana sarei dovuta stare in presenza, se non fosse che è uscito il nuovo decreto che ha annunciato il 75% di DAD, quindi starò in presenza solo venerdì e sabato…In conclusione, posso dire che il mio primo mese e mezzo è stato strano: era iniziato bene, ma sta finendo malissimo e la colpa non è certo della mia scuola…

Come sono andate le vacanze? Ha dovuto rinunciare a qualcosa che avevi in programma?
In giugno e luglio non mi sono spostata da Roma, tranne una gita a Firenze di un giorno, dedicandomi soprattutto all’attività fisica. La prima settimana di agosto sono andata a Marina di Camerota in Campania, bellissimo luogo nel cui villaggio le regole di distanziamento erano rispettate, perciò la preoccupazione era un po’ svanita. Nella settimana di ferragosto sono andata in Umbria con una persona importante e c’era aria di tranquillità. Per il resto, sono sempre stata a Roma, tranne una gita fuori porta al parco di Villa Gregoriana, dove tutte le precauzioni erano ben rispettate.
Sì, purtroppo, causa pandemia, ho dovuto rinunciare al viaggio-studio di due settimane in Inghilterra e ad un ipotetico viaggio a Copenaghen.

Ritiene che questa triste esperienza ci stia insegnando qualcosa? Cosa si porterà dentro?
Il lockdown sicuramente mi ha insegnato ad apprezzare di più i rapporti interpersonali, ad abbracciare un amico quando mi viene voglia di farlo, perché magari poi potrò più farlo per chissà quanto. Inoltre ho affinato il mio metodo di studio e ho “scoperto” quanto possa essere fruttuoso organizzare al meglio gli argomenti, ottenendo ottimi risultati nelle materie scolastiche.

Enrico Motta, di origine bergamasca, vive a Milano dove, in via dell’Orso possiede una galleria d’arte, Quadreria dell’800. (Sentito il 29 Ottobre)
Come ha vissuto, e sta vivendo, questo lungo periodo, tenendo conto che lei, con la moglie, un bambino piccolo e uno nato da poco, vive a Milano e i suoi genitori sono di Bergamo, due territori molto colpiti?
Proprio perché viviamo in un territorio che è stato così duramente colpito sin dall’inizio da questa epidemia, abbiamo preso da subito tutte le precauzioni necessarie: oltre alle ovvie regole di indossare la mascherina e igienizzare / disinfettare il più possibile mani e oggetti, abbiamo anche “rinunciato” a tutte le occasioni che ci avrebbero esposto a un potenziale rischio. Nel periodo più duro del lockdown, inoltre, abbiamo avuto la fortuna di poter passare il nostro tempo in campagna, dove non c’è mai mancata la possibilità di stare all’aria aperta… un vero lusso per chi ha un bambino di 3 anni!

Come aveva organizzato le sue vacanze? Ha dovuto rinunciare a qualcosa ?
Per le vacanze abbiamo prediletto la montagna nel mese di Agosto, anche per evitare l’affollamento delle spiagge.

Si sente di giudicare i provvedimenti prese dal Governo e da Regione Lombardia, in particolare le più recenti?
Non sono un politico né un tecnico per cui non mi sento di valutare e giudicare, nemmeno le ultime decisioni. Certo è che due Dpcm in un arco di tempo così ridotto portano a pensare che anche chi dovrebbe avere maggiore padronanza di idee attualmente ha poche certezze. Sapendo fin da marzo che ci sarebbe stata una seconda ondata avrebbero dovuto avere maggiore lungimiranza.

Il gallerista austriaco Thaddaeus Ropac ha affermato su La Stampa di domenica 28 giugno “…ora le cose sono cambiate. I collezionisti vogliono darsi da fare… non possono stare troppo a lungo senza guardare e acquistare arte…ci sarà un ritmo più lento di vendita.. non tagliamo i nostri prezzi . La pandemia non ha nulla a che fare con il valore di un’opera d’arte”: cosa ne pensa?
La passione per il bello e per l’arte sicuramente non viene messa in discussione dalla pandemia, così come l’interesse dei compratori. È vero però che l’economia nazionale è stata così duramente colpita a tutti i livelli da aver condizionato o posticipato le scelte di alcuni appassionati. Al contempo, la forte attenzione che è posta al momento sulla casa, luogo dove abbiamo passato lunghi mesi, enfatizza la necessità di circondarsi di cose che ci facciano stare bene.

Come vede il futuro dell’arte, almeno per quanto riguarda i prossimi mesi? A questo riguardo, cito ancora il gallerista austriaco: “…Ci vorrà un anno per tornare al ritmo di prima… Le fiere si svolgeranno solo online. Ma la gente tornerà nelle gallerie d’arte che offrono agli artisti la miglior soluzione… e possono essere visitate in sicurezza con il distanziamento sociale.” È stato complicato adeguare la sua galleria alle norme?
Le fiere rimangono un momento importantissimo, difficilissimo da colmare on line proprio perché fondamentale è il contatto con il cliente e la relazione che lì si instaura. Molto più semplice è stato adeguare gli spazi della galleria alle norme.

Crede che questa triste esperienza ci stia insegnando qualcosa? Cosa si porterà dentro?
Credo che l’insegnamento più prezioso sia quello di aver imparato a rallentare un po’ anche nella nostra vita sociale e ad assaporare il piacere dello stare in famiglia.

Fabio Lazzari, ristoratore in un locale storico di Milano (Ascoltato il 29 Ottobre.)

Come ha vissuto, e sta vivendo, questo lungo periodo?
La prima fase è stata più dura, perché più lunga, ma anche più facile perché era una cosa nuova e la situazione era tale per cui il lockdown è stato percepito come inevitabile. Leggendo i pareri degli esperti, mi sembra che il lockdown sia servito sicuramente ad abbassare la curva, ma non a fermare il virus che ha avuto un eccesso di mortalità perché non si sono fatte determinate cose, per esempio sulle RSA. Avevo qualche dubbio sulla reale efficacia delle chiusure, ma poi abbiamo concentrato tutti gli sforzi sull’adempimento delle regole per accogliere in sicurezza la nostra clientela sul lavoro. Devo dire che il lavoro è stato ancora più appagante dopo lo stop.

E’ stato difficile adattare il ristorante alle norme sanitarie imposte?
Beh sì perché per riaprire abbiamo seguito le tante linee guida, posizionando separé, che sono costati trecento euro, assi sui tavoli e altri accorgimenti per un totale di diecimila euro circa. Siamo un ristorante storico, per cui la gente ha ripreso ben presto a venire e, devo dire la verità, lavoravamo molto bene. Seguivamo pedissequamente le regole e, quando ha ripreso l’epidemia, i primi dubbi sono stati che, nonostante tutto, non era stato fatto quello che andava fatto.

Come aveva trascorso le vacanze?
Belle vacanze, perché sono tornato nella mia terra natale, la Sardegna, per la precisione nella provincia di Oristano. Devo, però, riconoscere che i locali seguivano un po’ meno le regole, rispetto a noi, soprattutto quelli sulla spiaggia.

Che giudizio dà delle misure del Governo e di regione Lombardia, soprattutto le più recenti?
È stato fatto terrore verso i ristoranti, senza un numero chiaro che ne definisca la pericolosità. Ecco, vorremmo conoscere i dati dei contagi nella ristorazione; la percentuale fornita dall’INAIL sui contagi di comunità è di meno del 4% e mi sembra molto bassa. Infatti, è stato poi detto che il motivo delle forti limitazioni che ci riguardano sono dovute alla necessità di evitare che la gente si incontri. È chiaro, quindi, che secondo me l’ultimo dpcm è un provvedimento folle, perché non tiene conto del lavoro che viene meno, ma solo della teoria di aggregazione. Eppure, si vede che la curva epidemiologica è risalita in concomitanza della riapertura totale della scuola e del lavoro, con la conseguenza di mezzi pubblici strapieni… allora, è logico pensare che siano scuole e, ancora di più, trasporti pubblici inadeguati le vere bombe. Ci tengo a chiarire che il provvedimento generale non è sbagliato perché chiude me, ma perché non chiude tutto, causando un danno del 70% a me, ad altri del 50%, con tanti locali che addirittura chiuderanno. A nostro sostegno, solo briciole, perché il decreto ristoro elargisce davvero pochi soldi rispetto al danno. Se chiudi tutto, a me sta bene, anche perché così è palese che qualcosa non funziona.

Pensa che questa triste esperienza ci stia insegnando qualcosa?
Sì, che bisognerebbe votare meglio, scegliere persone capaci, competenti. Io non voto da qualche anno, ma la situazione è veramente grave dal punto di vista sociale e politico e i risultati sono questi. In circa sei mesi, Governo ed enti locali hanno fatto davvero poco per contenere la nuova ondata che molti esperti avevano previsto.
Inoltre, questa situazione mi sta insegnando anche a tenermi stretto il posto di lavoro e a risparmiare, perché da un giorno all’altro potrebbe succedere qualcosa per cui rischi tutto quello che possiedi.

Grazie a Daria, Enrico e Fabio per aver accettato la mia proposta e per la disponibilità.
Punti di vista molto diversi, perché diverse sono le età, le professioni, le esperienze pregresse…ma un minimo comune denominatore: il disorientamento davanti a decisioni che, calate nelle singole realtà, vengono avvertite come poco chiare, se non ingiuste e che si accompagnano all’ansia del domani che ne deriva, mentre si aspetta una qualche certezza che permetta di accettare ancora pesanti sacrifici.