A Erri De Luca il compito di chiudere, lasciando il segno, la sedicesima edizione del festival “Mistero dei Monti”. La vigilia di ferragosto si è tenuto, nel suggestivo salone Hofer del Des Alpes , l’evento che ha visto protagonista il famoso scrittore napoletano, introdotto da Giacomo Bonazza, uno dei due ideatori e organizzatori della kermesse. “…. viene sempre visto come un camminatore dentro il peso della parola. Oggi è qui come disboscatore nella radura. Sappiamo solamente che quando De Luca passa, lascia qualcosa di particolare. Il suo sguardo non è consueto, la sua è una montagna piena di energia, di forza vitale. Ricordiamo che suo padre fu alpino nella seconda guerra mondiale… allora dipaniamo questa radura tra oscurità e luce.”
Roberta Bonazza ha moderato l’incontro cominciando a chiedergli quanto sia rifugio per lui la montagna e come ci sia arrivato. La montagna “è un esempio, un magnifico esempio. Là dove appare l’ultimo pino mugo, comincia il regno minerale. Lì mi interessa, perché è un posto dove posso camminare in solitudine, come in un deserto; è un posto magnifico. Una cima è il calcio nel sedere dell’ultimo passo in alto, poi cominceranno i passi in discesa. Camminare in alta montagna è un’attività che mi trasmette un sentimento di inferiorità e mi fa star bene. La Natura è dove noi non siamo presenti, mentre l’ambiente è dove ci siamo, è ciò che ci circonda come dice il latino … “ (ambiens-entis è il participio presente del verbo ambire, andare attorno n.d.a)
A questo punto ha spiegato “Sono uno di superficie, la montagna mi piace percorrerla anche con le mani. Ho cominciato a fare ciò perché non mi bastava semplicemente camminarci sopra. Perciò ho cominciato a progredire nella maniera più lenta possibile, tanto che vanno più veloci i bambini che gattonano. Mi piace questo staccarmi dal suolo e percorrere la distanza che una giornata mi permette… ma la montagna spesso non permette di esser visitata. Andare in montagna è, però, sentirmi profondamente un intruso, non dotato di alcun salvacondotto. Sul verticale, se ti muovi in modo rumoroso è perché stai scivolando, non stai distribuendo bene il peso del corpo. Il passo deve esser assolutamente silenzioso, non si deve sentir alcun rumore. Va be’, queste sono forse fissazioni ?!”
La Bonazza l’ha esortato, quindi, a raccontare il suo concetto di montagna e di versanti.
“Ho un punto di vista geografico diverso rispetto a quello dei poteri costituiti che, per esempio, hanno costruito prigioni in tutte le isole del Mediterraneo considerandole un supplemento di isolamento… Per me che ci sono cresciuto, l’isola rappresenta il massimo della libertà. Loro considerano il mare una specie di fossato di coccodrilli, uno sbarramento per scoraggiare gli attraversamenti, mentre per me è sempre stato il contrario, una via liquida come la chiama Omero. Ci vogliono i poeti per definire le cose nella maniera più precisa possibile…la stessa cosa vale per le montagne quasi sempre viste come un sistema di sbarramento. La nostra storia sa che non è vero, perché siamo stati invasi da tutti gli eserciti che hanno voluto attraversare le Alpi che non sono state per nessuno di essi barriera: ci sono passati pure gli elefanti. Sappiamo per certo, invece, che non costituendo un sistema di sbarramento, sono piuttosto l’esatto contrario: il più fitto sistema di comunicazione tra due versanti che non può essere controllato. E non si può mettere del filo spinato sulle montagne, perché è impossibile sigillarle. Sono, infatti, infinite le varianti per passare dall’altra parte secondo le capacità di chi lo fa e le stagioni. I confini servono solo a stabilire delle competenze amministrative tra Enti, ma pensare che quel confine sia uno sbarramento, è un punto di vista sbagliato. Ripeto: le montagne non sono sbarramenti, ma comunicazioni.”
Più avanti dirà “…c’è un verso della mia poeta preferita, Marina Cvtaeva, che esprime compiutamente il mio pensiero ‘oltre all’attrazione terrestre, esiste l’attrazione celeste.’ Non è un’immagine poetica, è un’ osservazione naturale precisa: esistono forze che spingono dal basso verso l’alto, in contrasto con la gravità. La Terra vuole salire e le montagne sono la spinta della terra verso l’alto. C’è stata battaglia ed il mare ha spinto e continua a spingere la terra, le montagne. Il vapore acqueo sale, va a riempire il serbatoio là sopra e poi scende sotto forma di pioggia. Siamo fatti di acqua, cioè di idrogeno e ossigeno e, nella formula dell’acqua, questi due gas non esplodono: l’acqua è un trattato di pace. Un po’ di polvere ci sta, non mi dispiace che si ritorni a polvere, perché è l’ultimo stadio oltre il quale la materia non recede, anzi resiste, appunto come polvere della quale non ti puoi liberare. Nel regno minerale delle montagne mi trovo in maniera felice con le parti del mio corpo. E’ stato un regno a lungo evitato; sul finire delle esplorazioni, poco più di un secolo fa, iniziò la salita sulle alture per completare la ricognizione geografica. L’alpinismo rientrava nell’ordine generale di percorrere i volti della Terra, ma ben presto ha cominciato a sfidare la propria capacità, cercando le vie difficili, perché la conoscenza umana aumenta in seguito a sbaragli, vicoli ciechi e salti nel vuoto. Abbiamo tutte vite governate dall’utile, dal tornaconto, mentre l’inutile è in questo caso un valore aggiunto! Nell’inutilità dell’alpinismo c’è stata una continua spinta a spostare i limiti del possibile, un progredire verso il massimo delle difficoltà. In questo consiste la missione della specie umana: forzare i limiti della conoscenza.”
Roberta gli ha domandato come entra nella montagna e De Luca ha così risposto: “Ci entro cercando di passare inosservato, provando a non esser percepito. La montagna si muove, è viva e cambia continuamente la superficie della parete a seconda della umidità e della temperatura. Questa conoscenza delle superfici mi forma e mi permette di muovermi nella maniera più precisa possibile. Se poi sbaglio qualcosa, la pago cara mentre, se sbaglio mentre scrivo una pagina, la correggo. Non ci sono errori possibili in montagna e c’è una importanza della perfetta precisione. Scalare significa dare le spalle a tutto il resto e caricare tutto il corpo in funzione di un appoggio. ”
La moderatrice, riprendendo il discorso sul mare, da sempre attraversato ha chiesto della sua vicinanza (“presente già nel nome, Erri, che ricorda il verbo errare”) ai viandanti sulle nuove rotte e come ha visto il suo mare trasformarsi.
“Il mare mi ha insegnato a conoscerlo serio, severo, un mare di lavoro, di pesca, dove le persone andavano anche a bagnarsi, sguazzarsi. Era un mare che mi insegnava la sua diversità, la sua bellezza, mentre oggi lo vedo come una specie di sudario che si è ricoperto con la più grande quantità di corpi naufragati della storia del Mediterraneo… Ci sono sempre stati casi di naufragi per maltempo, ma questi avvengono con mare calmo e questa è una terribile aggravante. Nessuno ha mai navigato in una condizione così pericolosa. La nostra emigrazione è stata un’emigrazione di lusso rispetto a ciò che succede oggi, perché comunque tutti quanti, anche quelli che viaggiavano in terza classe, avevano una sistemazione a bordo e venivano sfamati.”
Passando al suo essere scrittore, la moderatrice gli ha chiesto “Come sei arrivato alla scrittura e quanto il tuo homo faber ti è servito nel cesellare?”
“Cerco di sfruttare l’immensa quantità del nostro vocabolario per esser preciso. Sono molto più lettore che scrittore, in quanto ho letto molto più di quanto abbia scritto e ho scoperto che non c’è niente che non possa essere descritto. Le parole ci sono, non si deve rinunciare perché esistono parole che possono esprimere qualunque cosa. Del cesello non me ne intendo per niente…per diventar scrittore prima di tutto, come detto prima, bisogna leggere molto e poi per me decisivo è aver ascoltato le storie di quelli venuti prima di me, in particolare quelli della generazione contemporanea alla più grande catastrofe, la seconda guerra mondiale. Ciò che ho sentito da piccolo aveva una forza così potente che quello che mi raccontavano lo trasmettevo agli altri sensi, potevo, cioè, vedere, annusare…partecipavo fisicamente alle informazioni che mi arrivavano col racconto. Avevo un orecchio che assorbiva e il tono delle voci si incastrava nei miei sensi. Poi, ho desiderato sporgermi fuori nei confronti del mondo, rimanere affacciato. La mia è tutta una esperienza fisica, arriva ai sensi e poi alla testa. Sono proprio i sensi che mi hanno trasmesso tutte le informazioni diventate poi pensieri e argomenti. Ho scoperto tardi l’importanza del tatto, perché da bambino in famiglia non c’era contatto… Solo a 14 anni, in una tavolata di ragazzi, una bambina raggiunse la mia mano e la tenne; ecco, quella è stata la rivelazione, mi ha trasmesso energia ed ho scoperto così il tatto. Era travolgente e ho capito che era il nostro organo di senso migliore, perché distribuito ovunque e perché ci tiene in contatto con quello che abbiamo intorno. Col tatto si impara quello che succede.”
La Bonazza ha voluto quindi tornare alla “precisione della parola, affrontata con grande dedizione. Come vedi la responsabilità della parola, come vedi usate le parole?”
“I pubblici poteri tendono sempre a diversificare la realtà, a loro vantaggio. Ho, ad esempio, un’idea ben precisa di invasione. La nostra storia è di invasione continua, ininterrotta. Sappiamo benissimo che cos’è il verbo invadere e perciò non si usa per delle persone che arrivano alla spicciolata e disarmate. Inoltre, volendo approfondire, è chiaro che in Italia c’è una quantità di cittadini italiani che sono all’estero, numero che aumenta di continuo, perciò siamo un Paese in via di evasione?!? Spesso il vocabolario è usato a fini distorsivi. La parola ondate è suggestiva, ma abusiva. Cosa deve fare un territorio di costa di fronte alle ondate ? L’idea è che si debba difendere con barriere, scogliere, dighe, ma non è così! Ondata è un vocabolo falso che suggerisce una risposta sbagliata. È evidente, invece, che si tratta di flussi di energia nuova, di nuova vita, di nuove forze che vengono a rinforzare le fibre di una comunità come la nostra che si trova ad aver bisogno di flussi giovani, essendo la più vecchia del mondo dopo i giapponesi, una comunità invecchiata che non si piega facilmente al lavoro manuale e quindi ha la necessità di utilizzare braccia che vengono dal Sud e dall’Est del Mondo. Si tratta di usare le parole più precise possibili, le parole giuste, esatte, perché c’è una giustizia nelle parole, o un’ingiustizia che dobbiamo imparare a riconoscere e dobbiamo rivendicare. Una persona che ha una responsabilità come la mia cerca di resistere al vocabolario falso. Io sono il proprietario della mia lingua, non un cliente; l’ho conosciuta attraverso la lettura di una quantità di libri e, come effetto secondario, mi ha dato un sistema immunitario verso il virus del vocabolario falso. Lo considero un vantaggio perfino sleale verso le tante persone che non leggono, che non sanno che danno fanno a se stessi per il deficit con la realtà. Si deve scoraggiare la non lettura perché leggendo si conquista un diritto di cittadinanza dentro la lingua, ci si fa gli anticorpi necessari a smascherare l’imbonitore di turno.”
Molte le domande del pubblico e importanti le risposte dell’ospite.
Riguardo alla religione, ha detto “Considero un valore l’ipotesi che esista un creatore, perché ha un valore per la vita delle persone, della civiltà. Ho tradotto un poema dall’yiddish, un canto del popolo ebraico massacrato nella seconda guerra mondiale. All’interno c’è un capitolo in cui si dice … ‘Dio è molto meglio non esista, anche se senza di lui è molto peggio’.”
Rispondendo all’ultima domanda sul suo essere anche poeta, ha chiarito: “Con la prosa ho un rapporto più convinto con me stesso, ma mi hanno anche pubblicato libri di poesie e lì sento di aver difetto di approssimazione…sento di non riuscire a raggiungere la precisione, e allora mi accontento. Preferisco, però, chiamarle pagine con righe che si spezzano e vanno troppo spesso a capo. Sono uno che va a piedi, uso la prosa con la miglior precisione possibile, mentre con la poesia è come se stessi andando a dorso di un cavallo che decide l’andatura.”
L’incontro è terminato con una sua poesia dedicata a Che Guevara “Nota su Ernesto”.
Non ho parole da aggiungere, anche per evitare di usare parole sbagliate. C’è da riflettere, e molto, in questi tempi “ciarlatani” (Erri De Luca), con tante parole che escono troppo spesso a sproposito, con parole diventate “prevalentemente pubblicitarie, cioè che devono servire a esaltare il proprio argomento e poi non portano a nessuna responsabilità…” (Erri Del Luca).
I due organizzatori, Roberta e Giacomo Bonazza, hanno ringraziato l’ospite e l’attento pubblico dando appuntamento con la rassegna “Mistero dei Monti” all’estate 2019.
Prima dei miei saluti, e per completezza dell’informazione, mi sembra giusto ricordare che, collegate all’edizione di quest’anno, sono state allestite anche due mostre.
La prima, dal titolo “La guerra che verrà” sulla prima guerra mondiale, nell’edificio che ospitava le scuderie di palazzo Lodron Bertelli a Caderzone Terme, dal 22 luglio al 16 agosto. Curata e organizzata dall’associazione culturale Museo della Malga, è stata un invito a riflettere sul dramma dei conflitti nel centenario della fine della Grande Guerra. Una mostra accurata e importante per la quantità, ma soprattutto la qualità, delle foto, dei documenti e dei cimeli dell’epoca, provenienti dalla collezione di Danilo Povinelli e dei paesi della Val Rendena. La mostra è stata visitata da oltre 2000 persone.
“Fieno e sale. Storie di alpeggi e di saline”, è la mostra di pannelli con foto e testi esplicativi inaugurata il 3 agosto che si potrà vedere fino a domani, venerdì 31 in piazza San Giacomo a Pinzolo. Nel mese di luglio la stessa mostra era stata allestita a Milano Marittima, frazione di Cervia, a conferma della partnership tra le due località turistiche. Durante l’inaugurazione, Roberta Bonazza ha spiegato che “ il tema è il paesaggio, con il sale delle saline di Cervia e il fieno dei prati di Pinzolo, e la collocazione dell’uomo in questi due contesti prima che il turismo modificasse paesaggi, usi, costumi e attività umane“.
Il Sindaco di Pinzolo, Michele Cereghini, ha sottolineato che “Lo scopo della mostra è emozionare gli ospiti e far conoscere l’identità dei territorio nel quale si trovano a trascorrere le vacanze” L’assessore del Comune di Cervia ha condiviso l’affermazione, perché “è molto importante che il turista scopra le tradizioni locali. Da noi organizziamo passeggiate tradizionali e troviamo buona partecipazione. La mostra racconta da dove veniamo, perché nessuno deve dimenticare le proprie radici e chi arriva per le sue vacanze deve poter capire il territorio che lo ospita per integrarsi con esso e non sentirsi solo di passaggio”.
L’estate sta finendo, ma non i miei appuntamenti con la Val Rendena: vi dò appuntamento al prossimo. Se vorrete…
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