Elezioni e scenari futuri: acceso confronto tra i direttori dei grandi giornali a tempo di libri

Uno degli ultimi eventi della kermesse letteraria “Tempo di Libri”, svoltasi a Milano dall’8 al 12 Marzo, è stato dedicato allo scenario del dopo elezioni ed ha visto confrontarsi i direttori dei cinque più importanti quotidiani: Corriere della Sera, La Repubblica, La Stampa, Il Sole 24 Ore e Il Messaggero. Ha introdotto Ricardo Franco Levi, presidente dell’AIE (Associazione Italiana Editori) che ha voluto sottolineare come “Milano ha risposto bene alla rassegna, al punto che Tempo di Libri è ormai una realtà non solo milanese, ma anche nazionale ed internazionale. Riguardo al convegno, sono convinto – ha affermato – che i giornali si confermano luogo dove si elaborano le idee e sono ancora al centro della riflessione. Libri e giornali sono parte della stessa famiglia”.

Ha preso la parola per primo il direttore de La Stampa, Maurizio Molinari, che ha fornito la sua lettura del risultato delle elezioni: “ figlio della rivolta del ceto medio, iniziato con la Brexit e la vittoria di Trump nel 2016, e proseguito lo scorso anno con le affermazioni della Le Pen in Francia e dell’estrema destra in Germania, soprattutto quella orientale, come in Austria. Il ceto medio si sente aggredito dalle ferite causate dalla globalizzazione.” Il direttore, passando alla situazione italiana, ha così argomentando: “La rivolta del ceto medio ha battuto un primo colpo nelle elezioni amministrative del giugno 2016, dove sorprese i partiti tradizionali consegnando a partiti anti sistema vittorie importanti a Torino e Roma. Ha battuto un secondo colpo nel referendum costituzionale, dove la massiccia affluenza non si dovette solamente all’ostilità verso chi aveva proposto il quesito, ma investiva l’intero sistema tradizionale. Adesso il terzo, e più importante, che ha travolto ciò che restava dei partiti tradizionali, infliggendo al PD una sconfitta cocente ma, attenzione, anche a Forza Italia. I due partiti in qualche maniera sono accumunati, perché investiti dalla legittimità del vecchio sistema politico istituzionale ereditato dal Novecento, oggi rifiutato e rigettato dalla maggioranza degli italiani.” Molinari ha fatto a questo punto una doverosa precisazione: “Ciò che della rivolta del ceto medio colpisce, e che aggiunge e descrive la dimensione italiana, è il fatto che abbia due identità in competizione e gli attori siano geograficamente localizzati; questo aggiunge un elemento molto italiano che può sicuramente aumentare la diversificazione del messaggio di protesta, ma può creare anche pericoli che altri Paesi non si trovano a dover affrontare”.

Il direttore de La Stampa, Maurizio Molinari, durante il suo intervento
Il direttore de La Stampa, Maurizio Molinari, durante il suo intervento

Il direttore del Corriere, Luciano Fontana, ha evidenziato che: ”C’è una specificità italiana che non si comprende solo guardando ciò che è accaduto negli altri Paesi. La prima cosa diversa è che, rispetto al resto d’Europa, in Italia siamo in un nuovo mondo politico, fatto di partiti tra virgolette populisti che superano il 50% e non accade in nessun’altra parte d’Europa. Dico tra virgolette, perché ci sono anche differenze marcate. Considero il Movimento Cinque Stelle un concentrato puro di tutte le caratteristiche del populismo. I pentastellati sono stati, perché ora sembra in atto un cambiamento, un contenitore delle rabbie e delle insoddisfazioni unite a qualche desiderio. Non c’è la connotazione che, invece, marca l’altro grosso movimento, la Lega che, dopo la fase secessionista, ha una derivazione di destra nazionalista con interessi ed elettori profondamente diversi. Perciò non sono nemmeno tanto d’accordo che i due movimenti siano simili: la rappresentanza dei Cinque Stelle, soprattutto nel Meridione, è legata all’esclusione contro l’establishment ed è maggiormente legata alla battaglia anticasta. Al nord, la Lega rappresenta quello che vuole la gente, soprattutto sicurezza, timore per l’immigrazione e, per gli effetti della globalizzazione, il malumore per la questione fiscale, sulla quale nacque la Lega. A me non piacciono le semplificazioni, di simile hanno che sono contro chi c’era prima, ma le similitudini si fermano quasi lì.” Il direttore ha continuato affermando che “la responsabilità principale del terremoto è di ciò che è successo nei vent’anni che sono venuti prima. Eravamo partiti pensando che saremmo diventati europei, maggioritari con uno scontro tra conservatori e progressisti e siamo arrivati in una situazione che non è mai stata stabile attorno ad un progetto. Penso che la sinistra abbia bisogno di uno psicanalista piuttosto che di un politologo per interpretare ciò che è successo in questi venticinque anni: partiti inconcludenti, fusioni fredde e mai davvero effettive; il PD, sovrapposizione di due culture e tanti leader in competizione che hanno portato ad un progetto inconcluso; governi frammentati e identità che non riuscivano a trasmettere l’urgenza e la necessità di soluzioni dopo dieci anni di crisi economica… Da adesso inizia una traversata nel deserto il cui punto d’arrivo sarà difficile da capire e con una situazioni che non ha eguali in nessun Paese europeo.

Il direttore de “Il Messaggero”, Virman Cusenza, ha così esordito: “ Il punto che ho osservato è che se vogliamo una secessione strisciante, c’è già stata ed è l’analisi di un cittadino che vedeva che la politica si ricordava e si ricorda di una parte del Paese, un terzo, solo in occasione delle elezioni. Lo stesso Renzi ha detto che trascurare il Sud non era solo trascurare una parte dell’elettorato, ma si gettavano le premesse per una sconfitta, e non solo del suo partito, e una divaricazione politica del quadro nazionale…e la dimostrazione è la vittoria dei Cinque Stelle, un partito che ha dato segnali di occuparsi di una parte del Paese a fronte del silenzio totale degli altri.” Il direttore ha parlato, quindi, di quanto fatto dal M5S: “I Cinque Stelle hanno fatto un’operazione mimetica, facendosi a forma dell’elettore meridionale e interpretandone le istanze più profonde. Potrebbe ripetersi una scena già vista, nel senso che anche Berlusconi nel 1994 capì cosa volevano, lo promise, ma non glielo distribuì. Questo ascensore non tornato indietro è il difetto principale della politica italiana. Non trovo strano perciò che, in situazioni di sfilacciamento sociale ed economico, alla fine arrivi qualcuno che prende il posto di un altro, con il risultato della vittoria di una minoranza che diventa maggioranza. Vittoria aiutata da un sistema elettorale che, già nelle intenzioni, non poteva produrre una maggioranza; è un sistema che fotografava una situazione esistente. Mi chiedo cosa potrebbe accadere con una legge elettorale diversa.

Il direttore de Il Messaggero, Virman Cusenza
Il direttore de Il Messaggero, Virman Cusenza

E’ stato, quindi, il turno del direttore de “Il Sole 24 Ore”, Guido GentiliIl risultato è tanto più significativo, se si considera che oggi il Paese è in ripresa, anche se cresce certamente meno di altri Paesi europei. E’ uscito dalla crisi che aveva attraversato…Vorrei ricordare che Renzi ottenne il 40% di consensi alle Europee soltanto nel 2014. Quindi in quattro anni siamo passati da una vittoria significativa ad una sconfitta altrettanto significativa. Sono stati commessi molti errori dalla classe politica, dal PD e dallo stesso Renzi, passato da esser visto come rottamatore a essere percepito come membro dell’establishment e punito per questo. Un altro errore è stato la personalizzazione del referendum del 2016 e, infine, una legge elettorale tra le peggiori che si potessero immaginare, ma approvata con col consenso di tutti.”
Il direttore Gentili analizzando, quindi, i risultati ha detto: “Il Paese è diviso in due, con un un risultato nel Meridione che nessuno poteva immaginare, ma che è frutto di un abbandono che dura da decenni. Fitto, che faceva parte della squadra di Berlusconi e alle europee aveva preso centomila voti risultando il parlamentare più votato in tutta Europa, oggi è sparito dal punto di vista politico e D’Alema che ha totalizzato il 3% ! E’ successo qualcosa di molto forte, frutto dell’unica onda che esiste, la globalizzazione, del problema dell’inclusione e dei tanti errori, non ultimo una campagna elettorale, veramente la peggiore da tanti anni a questa parte. Mentre il Nord è agganciato all’Europa con tassi di crescita che qualche volta superano le migliori regioni europee, il Sud è un buco nero dove il voto di protesta, e l’attenzione che il M5S gli ha riservato, ha partorito i risultati che conosciamo. Ha pesato molto il reddito di cittadinanza che costa delle cifre non sostenibili e credo che il Movimento stia già pensando di graduare la proposta, non credo che la metterà in campo secca. Forse si farà qualcosa di più col reddito di inclusione, già varato dal Governo Gentiloni, per arrivare ad un risultato a fine legislatura. Il Movimento dovrà starà attento a evitare una frattura Nord – Sud.”

Il direttore de “Il Sole 24 Ore”, Guido Gentili, durante il suo intervento

Da ultimo, è intervenuto il direttore de La Repubblica, Mario Calabresi, che ha parlato degli scenari politici: “C’è un dato che si dimentica: nel 1994 Berlusconi vinse le elezioni con due alleanze, la Lega al Nord e con Alleanza Nazionale al Sud. Aveva intuito la differenza del Paese e i dati sottolineati da Gentili hanno evidenziato questa divisione. Il problema è che non c’è un federatore e qualunque scelta si faccia che non sia la grande alleanza sovranista tra Salvini e Di Maio– ma vedo difficile che Salvini faccia il secondo di un partito che ha prevalenza al Sud- sarebbe difficile da sostenere per il PD, perché se scegliesse di star col centrodestra, ci sarebbe il tradimento del Sud e del partito che ha preso il 32%, mentre se si alleasse con Di Maio, ci sarebbe un’alleanza che lascerebbe fuori chi ha voti nelle aree produttive.” Calabresi ha, quindi, parlato delle cause: “Quel che paga il PD è stata un’idea di attaccamento alle poltrone, anche se è falso dire che i suoi governi non erano eletti, perché siamo sempre stati comunque in una democrazia parlamentare e lo siamo anche adesso. Le convergenze non si fanno sui vincitori, ma su figure di mediazione. Se il Pd facesse governo innaturale con il centrodestra, immaginatevi la campagna che partirebbe da parte di Grillo. Se succedesse il contrario, vedrei difficile, dopo anni di propaganda, che possano star insieme grillini e democratici, perché se ne sono dette di tutti i colori. Da questo punto di vista al Pd, e anche agli elettori, farebbe un gran bene lo star fuori.” (Da segnalare che questa considerazione è stata apprezzata da numerosi applausi da parte del pubblico.n.d.a.)

Il dirrettore di Repubblica,Mario Calabresi, durante il suo intervento

Molinari, riprendendo la parola, ha sintetizzato “Se guardiamo perché hanno vinto, i due temi che hanno grandemente influito sono i migranti e l’economia. Se vediamo da vicino chi ha vinto, il M5S ha vinto al Sud col reddito di cittadinanza e la Lega al Nord con la flat tax, quindi il risultato è stato figlio soprattutto dell’insoddisfazione economica, perché altrimenti sarebbe andata meglio a Fratelli d’Italia. Al Sud, infatti, non c’è lavoro e al Nord le aziende si sentono vessate da dazi e tasse che impediscono loro di crescere.” Il direttore del quotidiano torinese è tornato sulle cause: ”L’errore maggiore è stato non comprendere cosa stava succedendo: la narrativa di Renzi è stata positiva di fronte alle diseguaglianze, ma ha perso la percezione del Paese, lui, leader del partito erede della miglior classe dirigente amministrativa che ci sia stata in questo Paese. Berlusconi, invece, ha chiuso la campagna elettorale facendo vedere cifre laddove non è più credibile.” Molinari ha terminato argomentando su cosa può accadere: “ Quando la rivolta è così forte, il rischio di aver di fronte settimane di balletti istituzionali tra nomi e formule è pericolosissimo, perché lo scollamento tra la classe dirigente e le famiglie può aumentare, mentre, per consentire alle istituzioni della Repubblica di resistere, la risposta deve esser veloce, perché l’idea di prendere tempo, adottare tattiche che funzionavano quando c’erano la DC e il PCI, oggi non funziona. Così come l’idea di assorbire una grande forza non funziona perché le forze di protesta sono due . Servono fantasia e rapidità, il primo che le avrà e riuscirà a mostrarle, avrà in mano la soluzione, ma sicuramente il rischio più grave è pensare che il tempo giochi a favore di una normalizzazione”.

Fontana si è discostato leggermente dall’opinione di Molinari: “I margini di manovra del Quirinale sono molto stretti, ma anche larghi a seconda della personalità che lo occupa. Siamo ancora nella fase in cui ogni vincitore interpreta se stesso come se avesse vinto. Non si fa nulla, però, cercando di rimediare una maggioranza, perché serve un accordo organico tra le parti. Mattarella deve far depositare la polvere della euforia, infondata, comunque, nei numeri. Il primo passaggio è verificare se qualcuno è in grado di portare a una vera soluzione, ma non darà incarichi al buio… Concordo che il Pd non è in grado di fare alleanze organiche, perché sta discutendo della propria sopravvivenza, una questione seria non solo per la sinistra italiana, ma anche per il Paese perché il partito è stato il contenitore di tante competenze e l’ossatura degli ultimi governi. Dopodiché o si torna alle elezioni, e l’elettorato si polarizza sempre di più, oppure questa legislatura dura poco con governo di tutti…,ma neutro in modo che nessuno si senta escluso, e per portare avanti alcune cose dal punto di vista economico, in primis.” A questo riguardo, il direttore del quotidiano di via Solferino è tornato sul comportamento di Renzi: “E’ stato debole quando, anziché occuparsi di economia e lavoro, ha cominciato a discutere di riforma costituzionale come fosse la chiave con cui questo Paese sarebbe potuto diventare un’altra cosa. Certo, anche una legge elettorale più funzionante e poi preparando la prossima partita perché questa è iniziata male e se va bene può arrivare per un periodo breve, massimo ad un pareggio.

Il direttore del Corriere della Sera, Luciano Fontana, durante il suo intervento

A questo punto, Calabresi ha fatto una doverosa precisazione: “La velocità sarà data dal momento in cui i presunti vincitori si renderanno conto che non hanno vinto, smetteranno i panni dell’euforia e inizieranno a ragionare. Il primo che fa il passo indietro, potrebbe accelerare la situazione e vincere. Se iniziassero i giri in parlamento cercando voti, non si farà che incattivire la situazione perché i no si irrigideranno. L’ipotesi di Galli della Loggia, nuove elezioni entro pochi mesi, diventerebbe una possibilità non così remota.

Il moderatore ha chiesto a Cusenza se questa elezione possa segnare la fine di Berlusconi: “C’è stato un sorpasso a destra che ha visto l’emergente Salvini avanzare e tentar un’OPA sul centrodestra. Penso che Berlusconi non uscirà di scena in breve tempo, ma che strategicamente il centrodestra sia destinato a esser guidato da una leadership che è nata sul territorio, in quanto l’elettore si è attestato su posizioni più intransigenti ed è polarizzato su posizioni alla Salvini… Tutto questo è successo, anche perché è fallita un’operazione politica da parte di Renzi, strizzar l’occhio ai moderati ed incamerare una buona parte del loro voto… Il Pd è stato eroso ai fianchi dal Movimento Cinque Stelle, Forza Italia dalla Lega. C’è spazio per il partito conservatore, ma andrà completamente rimodellato. Vedremo anche il passaggio delle presidenze delle camere, perché ci sono due strade: una camera a ciascun vincitore, ma quale camera e a chi? Non è indifferente perché il centrodestra per votare il Presidente del Senato ha bisogno di pochissimi voti, mentre alla Camera l’elezione di un Presidente del M5S necessita di un forte supporto del centrodestra e presuppone un accordo politico… (proprio ieri sono stati eletti Presidente del Senato l’Onorevole Casellati (Forza Italia) e della Camera l’Onorevole Fico (M5S), nda….)Da qui capiremo anche i futuri equilibri istituzionali, perché il Presidente di una delle due camere potrebbe guidare il Governo, col voto di tutti, per portare avanti un programma minimale, che non può che essere la legge elettorale.

Ha chiuso il giro di interventi Gentili che ha precisato “I mercati non concederanno tempi lunghi oltre un certo limite. Non possiamo contare su una loro indifferenza, perché non ce lo consente il livello del nostro debito pubblico. Dovremo far i conti nei prossimi mesi con una politica della BCE fin qui molto accomodante, ma nel momento in cui comincerà a venir meno, salirà l’attenzione dei mercati per un Paese che magari si troverà in una situazione di incertezza.” Il direttore del quotidiano economico si dice d’accordo col collega del Messaggero: “Le elezioni dei Presidenti delle due Camere possono esser un primo banco di prova riguardo a che tipo di maggioranze possono esprimere e penso anch’io che potrà esser il Presidente del Senato a guidare un governo come quello del 1993 quando arrivò Ciampi con l’unico obiettivo di una nuova legge elettorale.” Gentili ha ricordato: “E’ vero che non c’è nessuna prova di governabilità, ma è anche vero che queste elezioni hanno visto la vittoria di due formazioni, il Movimento Cinque Stelle che ha stravinto al Sud e la Lega che ha stravinto al Nord. Dobbiamo partir dall’esame di questo dato, cercando di non far finta di nulla perché altrimenti i mercati ci direbbero che siamo inconcludenti e arriverebbe un cartellino rosso.”

Dopo tutti questi pareri molto autorevoli, a chi può interessare il mio? A ben pochi temo, ma ci tengo comunque a dire che ritengo importante che il buon senso prevalga per rispetto di tutti i cittadini, di coloro che, magari turandosi il naso, hanno espresso il loro voto, come di quelli che alle urne non si sono presentati, anche perché profondamente delusi da una campagna elettorale veramente poco edificante. Il mio timore è che, qualora si riuscisse a formare un governo, questo non sia destinato a durare a lungo. Spero, invece, che ci sia, da parte degli sconfitti, la volontà di fare una seria autocritica per capire le ragioni del risultato e da lì ripartire. E tutti, ma proprio tutti, comincino a pensare seriamente all’Italia, ai suoi problemi e alle sue potenzialità, al suo presente e al suo futuro, non dimenticando un passato che, forse, qualcosa da insegnare ce l’ha!
Rispetto reciproco, toni moderati, linguaggio adeguato, discorsi chiari e concreti… non sono, ultimamente, una caratteristica di buona parte della nostra classe politica. Urge recupero!