“ Le mille facce della montagna ” Dialogo con l’arte locale.
Questo il titolo della mostra che si è tenuta dal 20 al 27 Luglio a Madonna di Campiglio nella Sala della Cultura. Un percorso interessante ed emozionante che ha offerto al visitatore punti di vista diversi fra di loro, ma accumunati dall’amore per il paesaggio montano. La rassegna ha visto la partecipazione di sette artisti locali che hanno mostrato le Dolomiti come le vedono e da esse ne sono ispirati, loro che fra queste montagne hanno il privilegio di vivere.
La curatrice della mostra, insieme a Cesare Orler, è stata Giulia Cirillo, di Madonna di Campiglio, laureata in Comunicazione nei mercati dell’arte e della cultura all’Università IULM di Milano e con un Master all’Università Cattolica in organizzazione di eventi culturali e mostre.
Giulia ci spiegherà l’origine e il perché della mostra e i suoi progetti futuri.
Quando e come è nata l’idea di organizzare la mostra ?
Lo scorso inverno parlando con Mario Zanon, persona importante per Campiglio in quanto si occupa spesso dell’organizzazione di grandi eventi, nacque il progetto di allestire nel periodo estivo una mostra di soli artisti locali. Questo perché talvolta l’idea che si ha di Madonna di Campiglio è che sia un luogo prettamente turistico, mentre la cultura rappresenta una componente importante nel pacchetto delle nostre offerte, componente che va comunque sempre valorizzata e ampliata. Così ci siamo detti: “ Perché non provarci?”
Come è riuscita ad unire in armonia forme così diverse di arte e persone che in qualche caso si conoscevano poco?
L’idea è partita appunto come mostra collettiva di artisti locali, esponenti di varie espressioni di arte: scultura, pittura e fotografia. Una mostra quindi che avrebbe raccolto forme molto diverse che sono riuscita non solo a far convivere, ma anche a far dialogare fra di loro. Partendo dal dato di fatto che tutti gli artisti sono legati a Campiglio in vari modi, è venuto di conseguenza facile cogliere quella che si rivela essere una personale lettura della stessa località. In più erano presenti elementi di unione; per esempio, la forza cromatica dei girasoli di Andrea Romanello si abbinava a quella espressiva dei teschi di Fulvio Cimarolli; i colori tenui di Daniela Casoni si avvicinavano alle fotografie in bianco e nero di Paolo Bisti, mentre la volontà di Andrea Viviani di lavorare in altezza nella realizzazione dei suoi totem riprendeva le montagne di Matteo Lencioni … il tutto arricchito dalle sculture in legno di Ferruccio Bonapace. E devo dire che sono rimasta piacevolmente colpita, perché, pur non avendo un rapporto di conoscenza profonda con loro, perché gli impegni personali mi tengono spesso lontana da Campiglio, ci siamo trovati subito in sintonia e abbiamo lavorato bene insieme, grazie soprattutto a un minimo comune denominatore: la passione per l’arte e per la nostre montagne.
Quale il bilancio a fine mostra ?
Sicuramente è un bilancio positivo, sia dal punto di vista dell’affluenza che per quanto riguarda il riscontro mediatico, locale e non. È stata un’iniziativa apprezzata dalle diverse realtà campigliane e sicuramente un modo per mostrare una nuova faccia della località. Concetto che abbiamo cercato di trasmettere, partendo dal titolo.
Dai visitatori sono giunti suggerimenti o osservazioni da cogliere?
È stato espresso soprattutto il desiderio che una mostra simile venga riproposta e per un periodo più lungo … Confortata da questi riscontri, il mio nuovo obiettivo, come quello degli organizzatori e degli artisti, è sicuramente quello di riproporre una seconda edizione della mostra “Le mille facce della montagna”, apportando anche delle migliorie. Mi piacerebbe certamente allungarne la durata, per attirare un bacino di utenza maggiore; inoltre, vorrei scoprire e coinvolgere anche altri artisti e organizzare eventi collaterali. Penso, ad esempio, a dialoghi con loro, serate culturali con accompagnamento musicale e anche momenti in cui essi si cimentino nel creare l’opera dal vivo. Insomma, il mio intento è che la mostra diventi il punto di partenza di un periodo dedicato all’arte di casa nostra. Un’ultima idea: vorrei proporre una mostra itinerante, per valorizzare luoghi diversi di Campiglio.
È stata la sua prima esperienza in casa ?
Come progetto curato in toto da me, è stata proprio la prima esperienza, portata avanti con entusiasmo e anche un po’ di emozione.
Chi si sente di ringraziare ?
Sicuramente Mario Zanon per la sua competenza nel campo dell’ organizzazione di eventi; Giovanna Recusani per averci prestato l’opera “Esculapio” di Gottfried Hofer, che ha avuto il compito di tracciare un fil rouge storico, partendo da uno dei primi artisti che si è relazionato con i nostri territori. Ringrazio anche la presenza di Riccardo Gusmaroli, affermato artista italiano nel panorama contemporaneo, per esser intervenuto dando una sua lettura della mostra. Infine un grande ringraziamento va alla galleria d’arte moderna Orler, per aver ospitato l’inaugurazione. Naturalmente un grazie va anche all’APT e alla Pro Loco locali.
A chiusura, qualche informazione sugli artisti in mostra.
Daniela Casoni. Milanese di nascita e di studi (Accademia di Belle Arti di Brera, in particolare la scuola di scenografia e corso “borsa di studio” presso il teatro alla Scala di Milano), si è trasferita a Madonna di Campiglio nel 1980 per motivi sentimentali e lì ha aperto un laboratorio di decorazioni, diventato una delle sue ragioni di vita. Non perde occasione di sottolineare la sua gratitudine al professore Varisco, che le ha insegnato a guardare il mondo in un modo diverso, prestando attenzione alle luci, alle ombre e alle atmosfere per cogliere il “cuore” di ogni immagine.
Mi piace ricordare che a lei si deve la decorazione delle pareti della chiesa di Nostra Signora d’Europa a Campiglio, in località Campo Carlo Magno. Vi consiglio di visitarla per ammirare l’opera della pittrice e non solo. (A breve, vi chiarirò questo invito con un pezzo dedicato a questo luogo di culto n.d.a.)
Matteo Lencioni. I suoi acrilici su tela rappresentano vedute delle vette campigliane con una resa tecnica impeccabile. Negli ultimi dipinti inserisce il collage di immagini, nascondendo brevi sezioni di paesaggio, rendendo così necessaria una riflessione personale per completare le lacune e ripristinare l’immagine completa. Il tutto è accompagnato da linee di disegno e forme geometriche monocromatiche che definiscono lo spazio, ne dividono i piani e sottintendono una sorta di guida alla lettura dell’opera.
Andrea Romanello. Un pittore che ha a cuore un tema di sempre maggiore attualità, la salvaguardia dell’ambiente. Il suo impegno in questa direzione parte dai pigmenti preparati in prima persona, per passare all’uso rigoroso della tempera all’uovo senza componenti inquinanti e giungere ai soggetti delle sue tele. Un protagonista spesso presente nelle sue opere, il girasole incurvato verso il basso a indicare l’appassimento, è rigenerato grazie alle pennellate energiche di un giallo inebriante che accende la profondità dello sfondo nero.
Fulvio Cimarolli. La scultura, “Fuck”, insieme alle tele che raffigurano i teschi, trasmette la volontà di questo artista, affetto da un grave problema fisico, di esorcizzare la morte e allontanarla. Si inserisce nel gruppo degli artisti, capeggiati da Damien Hirst e Gabriel Orozco, che cancellano il tragico simbolo e ne rovesciano i contenuti, in questo caso sfruttando una pittura di matrice un po’ pop e un po’ gestuale.
Ferruccio Bonapace. Scultore del legno, le sue opere sono produzioni e rappresentazioni della fauna di montagna. Si serve di svariati tipi di legno, rispettando e valorizzando, durante l’intaglio, le caratteristiche di ognuno. Nella realizzazione dei suoi lavori, parte dall’incontro reale con l’animale, crea uno schizzo e, infine, passa alla scultura. A tal proposito, durante l’inaugurazione ha raccontato del suo incontro ravvicinato con un orso. Fra le mostre cui ha preso parte, ricordiamo quella dell’82 a Milano con tanti artisti di fama; uno per tutti, Guttuso. Scolpire è la sua grande passione e va orgoglioso del primo premio conquistato a Ottawa, in un concorso di scultura su ghiaccio quando si trovò a lavorare al limite della sopravvivenza, a 37 gradi sotto zero.
Andrea Viviani. Anche lui scultore, lavora con la ceramica e sviluppa le sue opere in senso verticale e orizzontale. Le fa giocare sulla contrapposizione tra la fragilità della materia usata e la massa scultorea che costituisce strutture massicce e solide che si alzano in equilibrio, come nate dalla terra stessa. Il tentativo è quello di creare opere site specific in dialogo non solo con il luogo, ma anche tra di loro. (Ricordo che ho avuto il piacere e l’onore di intervistare Andrea Viviani.)
Paolo Bisti. Da ultimo, ma non certo per importanza o merito (last but not least, direbbero gli inglesi), l’unico fotografo presente in mostra. E chi poteva cogliere con delicatezza e profondità i volti di Campiglio se non lui, il fotografo ufficiale delle manifestazioni campigliane? E non solo! Bisti fissa con i suoi scatti ogni attimo che meriti attenzione e ricordo, quelli magici delle fiabesche nevicate e quelli tragici degli eventi legati a catastrofi meteorologiche. Nei lavori esposti risultano ben evidenti le molteplici facce di Madonna di Campiglio, che non è solo fatta di gente festante, colori e musica, ma è anche, e forse soprattutto, silenzio, pace e sospensione temporale. Una dimensione ignota al turista, spesso frettoloso e distratto. Il fotografo, però, riesce a coglierla con grande sensibilità negli efficaci scatti in bianco e nero, trasmettendo attraverso di essi un chiaro messaggio.
Grazie a Giulia che mi ha permesso di farvi conoscere un nuovo volto di Campiglio. A voi una promessa: vi terrò informati, se lei mi darà una mano, in tempo utile sul prossimo evento. Così potrete viverlo di persona e non solo attraverso le mie parole.
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