Un artista-artigiano a Campiglio: intervista ad Andrea Viviani, l’arte come mestiere vero

Bentrovati! Siete tra i fortunati che si stanno godendo una neve da incanto in quel di Madonna di Campiglio? Avete programmato la settimana bianca in Val Rendena? E’ proprio a voi che mi rivolgo e sono qui ancora una volta a offrirvi un motivo in più per ritenervi davvero fortunati, nel caso non lo sapeste…
In altre occasioni vi ho suggerito come trascorrere piacevolmente l’ora dello shopping o dell’aperitivo, nuove indicazioni arriveranno a breve… Questa volta sono qui, invece, a presentarvi un artista, Andrea Viviani, che vive e lavora a Madonna di Campiglio e il cui atelier, Creazioni Artù, merita senz’altro una visita. Accompagnati dalla bianca coltre che quest’anno ha reso incantevole il paesaggio tutt’intorno, a pochi passi dal Canalone Miramonti, dove si svolge annualmente la mitica 3Tre, entrerete in uno spazio affascinante dove sarete accolti dall’esplosione di colori delle opere del geniale artista. Non ho la competenza necessaria in materia per presentarvelo come merita, per cui, prima di lasciare a lui la parola, vi riporto quanto detto da uno storico e critico d’arte, Maurizio Scudiero, giusto per capire cosa vi aspetta: “ …è un artista a tutto tondo; per lui arte e artigianato convivono in posizione non solo paritetica, ma dialogante. In continua crescita ed evoluzione, riesce sempre a spiazzarti…” E riporto anche le parole di Paolo Orler, il famoso gallerista e collezionista proprietario di una galleria in piazza Lorenzetti a Campiglio: “ Gli riconosco la componente della purezza, scivola sul denaro, non si svende, non sposa la committenza e rigetta la mercificazione dell’arte. Il vero Viviani, nuovo, unico, innovativo, libero dagli insegnamenti, è nato con l’invasione ambientale della scorsa estate.” ( Si fa riferimento alla mostra-evento del luglio 2015 presso la Galleria Orler. In quell’occasione, la galleria fu “messa sottosopra, ribaltando il concetto di galleria stessa.”, Alberta Voltolini, Campiglio, n°2, estate 2016).
Non aggiungo altro, il resto lo saprete dall’artista che, con grande disponibilità, mi ha accolto nel suo atelier, rispondendo alle mie domande.

Quando ha avvertito il desiderio di “fare arte ”?

Per quel che si può dedurre da ciò che è rimasto, ho cominciato a dipingere all’età di 12 anni, nello stesso periodo in cui cominciai anche a suonare la chitarra. Allora eseguivo oli su tela di paesaggi, fiori e nature morte.

Ma durò poco, poiché a 14 anni andai in collegio a San Michele all’Adige dove, quasi impossibilitato a dipingere, trovai però l’ambiente per continuare a cantare e a suonare, mentre a scuola imparavo l’arte per fare del buon vino e scoprivo le vie della botanica.

Può tracciare a grandi linee il suo percorso artistico che l’ha portata oggi qui e parlarci dei suoi “Maestri”?

Ricominciai a disegnare e a dipingere con costanza a Venezia attorno ai 19 anni, quando mi iscrissi all’università di Ca’ Foscari. In questo stesso periodo frequentavo anche Campiglio e la galleria Fratelli Orler, dove andavo a rifarmi gli occhi. Lì conobbi Ermanno Orler e Gianni Contini, ai quali portai dei quadri. Mi diedero fiducia e mi consigliarono di incontrare Riccardo Schweizer, il quale viveva e lavorava nel suo “esilio” in Val di Non. Andai, lo conobbi e lo frequentai. Pur nello sconforto esistenziale che caratterizzava la sua vita in quel periodo, riusciva comunque sempre ad insegnare. Mi diceva di lavorare per sovrapposizioni, di mettere tutto nell’opera e poi di ricoprirlo, lasciando solo ciò che era importante. Mi preparava bigliettini nei quali mi suggeriva dove andare e cosa andare a vedere… Tracce d’insegnamenti che potevano, e dovevano, sembrare casuali, ma si ripetevano costantemente, in una trama che mi portò a conoscere le maggiori città Europee con i loro musei, le opere, i ristoranti… Le vedevo guardandole un po’ attraverso gli occhi del maestro, quasi confondendo, anzi, meglio, fondendo, i suoi ricordi e i sapori immaginati con l’esperienza reale. Tutto questo, sebbene Schweizer fosse convinto che bisognasse solo disimparare, per far posto alla poesia, e che in definitiva l’opera d’arte fosse una somma di errori.
Terminati gli studi universitari, nel 1997 mi sposai. Trovai impiego in un’azienda di consulenza aziendale, ma continuai a dipingere. Era questo il periodo dei neri, affascinante e sperimentale, perché univo l’incompatibile (l’acrilico e lo smalto), attraverso la materia (la carta e la sabbia). Affascinante il nero, ma oppressivo, quanto difficile da togliersi di dosso; l’assenza del colore libera il pretesto per ogni circostanza, il nero è elegante e discreto. Insomma, mi ci volle un po’ di tempo, per ricominciare ad usare i colori.

Nell’anno 2000 andammo, io e Riccardo, a vedere un’interessante mostra a Ferrara, a Palazzo dei Diamanti: “Picasso. Scolpire e dipingere la ceramica.” Anche Riccardo aveva sempre avuto il pallino per la ceramica e mi raccontava di aver conosciuto Picasso proprio nel periodo in cui si trovava a Vallauris (comune francese, conosciuto come città francese della ceramica, situato nel dipartimento delle Alpi marittime della regione della Provenza-Alpi-Costa Azzurra n.d.a.) a creare, tra le altre cose, anche alcune delle ceramiche che erano in mostra. A Vallauris, Riccardo conosceva molto bene Roger Capron, importante ceramista che, con la moglie Jacotte e un altro grande ceramista,Jean Paul Bonnet, lavorava instancabilmente nella realizzazione di volumetrie ironiche e fantastiche, ma sempre eleganti e raffinate. Pensando che mi avrebbe fatto bene, mi presentò a Capron e così cominciai a frequentare Vallauris e la Costa Azzurra.

Andrea Viviani a Villauris

Nel 1999 avevo lasciato il lavoro ufficiale, perché mi era chiaro cosa volevo, ormai mi stavo preparando a fare dell’arte il mio mestiere. I soggiorni in Francia diventarono frequenti, talvolta lunghi, altre brevi, ma sempre intensi. In quei luoghi c’è sempre qualcosa da vedere e da imparare e i Francesi da sempre sanno valorizzare i “loro” artisti. Capron era un personaggio semplice e modesto che in breve tempo riuscì a svelarmi le principali tecniche da lui utilizzate in quel periodo. Ne feci tesoro e nel 2001 aprii un bazar a Madonna di Campiglio con dischi, libri, ceramiche e pitture. Con il tempo abbandonai i dischi e i libri, perché nel frattempo avevo iniziato a collaborare con architetti e gallerie d’arte. Nel 2007/2008 collaborai anche con l’inserto “Progetto Manager” de “Il Sole 24 ore” con dipinti e opere grafiche a commento degli articoli pubblicati. Cominciai, inoltre, a partecipare a concorsi d’arte e a realizzare mostre collettive e personali.

Ad oggi alcuni miei lavori sono presenti in collezioni di importanti istituzioni pubbliche, in Germania presso il Keramic Museum Westerwaldmuseum of Hohr-Grenzhausen di Koblenza, in Svizzera presso il Museum de Ceramique Ville de Caruge a Ginevra, in Italia presso il Museo dell’Accademia delle Belle Arti di Perugia e presso il Museo delle Ceramiche Cielle di Castellamonte.

Parlando di lei, il curatore della mostra di Perugia del luglio scorso scrive che “ l’unica cosa che riconnette insieme l’ispirazione è l’incessante bisogno di confrontarsi con problemi creativi e formali sempre nuovi”. Ci può spiegare meglio?

La personale che ho tenuto presso l’Accademia delle Belle Arti di Perugia era caratterizzata dal fatto che ho voluto presentare lavori realizzati con materiali diversi, dalla plastica alla ceramica, dal legno al poliuretano, dalla lana alla pittura su tavola. Ogni materiale ha le sue caratteristiche fisiche, chimiche ed estetiche e di conseguenza la sua lavorazione presenta problemi creativi e formali diversi. Ciò che mi interessava comunicare agli studenti, e al pubblico in generale, era la possibilità di farsi ispirare dalle materie. La variazione del medium utilizzato stimola la ricerca e la scoperta di nuove soluzioni e permette di arricchire la fantasia creativa.

Ha affermato che per lei l’arte è, prima di tutto, gioco. Ci vuole illustrare come traduce concretamente questa sua convinzione?

Sempre in riferimento all’esposizione di Perugia intitolata “Playground” ho voluto indagare due aspetti della mia produzione artistica. Innanzitutto il fatto che, vivendo a Madonna di Campiglio, località a vocazione turistica dove la gente viene per rilassarsi e per svolgere attività per lo più ludiche, è innegabile che questa situazione si rifletta anche nella mia produzione; così, molte opere presentate richiamavano degli aspetti ludico ambientalistici, vedi Luna Park, Slittino, Giardino ghiacciato, Nevicata primaverile etc…

In secondo luogo, sono convito che lavorare divertendosi è una prerogativa necessaria per realizzare opere leggere, eteree, dolci e vivaci. Non necessariamente l’arte deve essere cupa, triste e drammatica, ma si può riuscire a dare un contenuto al lavoro anche presentandolo in modo giocoso e allegro. In terzo luogo penso che il gioco abbia una componente creativa molto forte, perché è fine a se stesso, non è costretto a confrontarsi con il mercato, con la moda del momento, con la committenza o con la coerenza. Anzi, libera i sentimenti più intimi e personali.

Cosa vuole trasmettere al visitatore delle sue mostre o a chi entra nel suo studio d’arte “Creazioni Artù” di Madonna di Campiglio?

Ogni mostra ha la sua caratteristica, il suo filo conduttore: a Perugia è stato l’aspetto polimaterico e il rapporto gioco/lavoro, mentre a Roma nel 2016 ai Musei di Villa Torlonia, con “Ritmi instabili” ho indagato la varietà, la complessità della natura e dei suoi ritmi.

Per quanto riguarda lo studio, invece, è il luogo in cui lavoro e in cui incontro persone curiose e amici che vengono a trovarmi. Chi entra può vedere lavori che appartengono a periodi diversi della mia produzione e può godere di quell’atmosfera che penso si potesse respirare entrando in una bottega artigiana medievale, con l’odore degli smalti, delle ceramiche in cottura… Inoltre, il visitatore può vedere le varie fasi di produzione e gli strumenti che utilizzo.

una delle fasi di lavorazione

Tra le tante mostre effettuate, quale/i le ha (hanno) dato più soddisfazioni? Perché?

L’ultima mostra che ho fatto a Ginevra nel Museo delle Ceramiche di Carouge a settembre è stata molto soddisfacente, non solo per la prestigiosa location, ma anche perché, inaspettatamente, ho vinto il primo premio al concorso Internazionale di Ceramica Ville de Carouge.

C’è un luogo particolare in cui le piacerebbe fare una mostra?

Mi piacerebbe cominciare ad esporre all’estero con più continuità, non solo perché avrei l’occasione di visitare in modo più approfondito realtà diverse dalla mia, ma anche per conoscere e confrontarmi con artisti, curatori e istituzioni straniere.

Vi vedo già in cammino per raggiungere Viviani e ammirare le sue opere… Non sono presuntuoso, ma credo che ciò che ci ha raccontato abbia stuzzicato la vostra curiosità e desideriate conoscerlo di persona. Spero anche di aver offerto a qualche indeciso un motivo in più per scegliere le Dolomiti di Campiglio come meta per una vacanza più o meno lunga non solo in questa magnifica stagione invernale, ma anche in tutti i mesi dell’anno. E per tutti gli altri? C’è il sito di Viviani: un’esperienza, comunque, indimenticabile.

Per quanto mi riguarda: “Grazie, Andrea, ho scoperto anch’io un volto della perla delle Dolomiti che mi era sempre sfuggito.