Santo Stefano e altri martiri negli affreschi di Simone II Baschenis a Carisolo

Dicembre: la montagna torna ad animarsi. Frotte di sciatori, da lungo tempo digiuni di “ discese ardite e di risalite”, gruppi variegati di amanti delle cime innevate, delle passeggiate con le ciaspole, delle cascate di ghiaccio e, più semplicemente, la folla di chi cerca in un bianco paesaggio la magia e la poesia del Natale che non c’è più…

Io sono qui a fare la mia parte e, se già vi ho parlato di alcuni degli eventi cui ho assistito la scorsa estate, ne ho lasciato uno per questo periodo, considerato l’argomento e la sede in cui si è tenuto. Si tratta infatti dell’ultimo degli eventi della rassegnaTra arte, storia e leggenda”, organizzata a Carisolo nel mese di agosto dal gruppo delle volontarie per Santo Stefano, luogo degli incontri. Il tema dibattuto in quel pomeriggio di domenica agostana fu “ Storie di Santo Stefano e altri martiri sulle pareti della chiesa cimiteriale di S. Stefano”, relatrice la dottoressa Silvia Garbari, docente di storia dell’arte, che vanta conoscenze approfondite in materia, in quanto proprio questo argomento è stato l’oggetto della sua tesi. L’esperta ha cominciato spiegando di “esser molto legata a questa Chiesa, così ricca di arte e storia per le tante opere in essa contenuta.” Ha precisato che, proprio considerando la quantità, si sarebbe concentrata su una piccola parte, quella riguardante la storia di Santo Stefano, presente sulla facciata esterna della chiesa. “ Bisogna dire che la Chiesa era stata, in un primo momento, intitolata a San Michele Arcangelo poi, siccome Santo Stefano era molto venerato, cambiò l’intitolazione.
Passando a parlare degli affreschi, ha detto che “l’autore è Simone II Baschenis, pittore proveniente da una famiglia che usava la tecnica dell’affresco e che per un secolo aveva operato in varie chiese delle valli trentine: Valle del Chiese, Val di Non, Val di Sole e, ovviamente, Val Rendena.” La professoressa Garbari ha chiarito che “l’artista autore di questi affreschi è il membro della famiglia che più si avvicina all’arte rinascimentale. Come si vede dalla data, 12 Luglio 1519, siamo in pieno Rinascimento; a Trento il Vescovo era Bernardo Clesio ed al Castello del Buon Consiglio erano attivi pittori quali il Romanino. La pittura di Simone II Baschenis cerca di dare l’illusione della profondità. Questa è una sua opera giovanile, mentre un’opera più adulta è la danza macabra nella Chiesa di San Vigilio a Pinzolo, dipinta vent’anni dopo. I colori sono naturali, molto semplici, infatti i Baschenis preferivano lavorare per le genti delle Valli, non per i principi.

La facciata esterna della chiesa di Santo Stefano
La facciata esterna della chiesa di Santo Stefano

Dopo questa introduzione, la dottoressa Garbari ha voluto ricordare che, mentre oggi siamo di solito superficiali nell’osservazione delle immagini che arricchiscono le nostre chiese, non è sempre stato così, anzi. “La parola iconografia significa scrittura attraverso le immagini. Perciò questo tipo di arte ha una funzione narrativa, di insegnamento del Vangelo. Gregorio Magno ebbe a dire che la pittura serve agli analfabeti, come la scrittura a chi sa leggere, per lui era quasi più importante dei testi scritti, perché allora c’era un tasso di analfabetismo molto alto.” Ha argomentato che “… nonostante il contrasto dei romani, il cristianesimo si diffuse molto, anche grazie alle figure molto importanti dei Santi. Questo termine significa “fuori dall’ordinario” ed ha la stessa etimologia della parola sacro, ossia qualcosa che tende alla perfezione, diverso dal luogo comune. Il Santo è colui che ha la capacità di intercedere, ossia di far tramite tra l’uomo e Dio e ogni persona, soprattutto nel passato, meno frequentemente oggi, era legata ad un Santo in particolare …. Il Santo nell’arte si contraddistingue dall’aureola, il segno dorato dietro il capo.” La docente ha aggiunto che “Oltre al Santo, si diffonde un’altra figura molto importante, il martire. Questa parola viene dal greco e significa testimone della fede, è una persona, cioè, che muore per scelta, vittima passiva della violenza altrui. E Santo Stefano, oltre a esser un santo, è anche un martire, anzi, protomartire, primo martire della religione cristiana: si considera, infatti, che sia morto nel 36 d.C. Nell’arte tutti i Santi hanno in mano una palma e ogni Santo ha un suo simbolo specifico che lo distingue: Stefano ha la pietra, simbolo della lapidazione. “ Garbari ha continuato: “ Le prime persecuzioni dei cristiani sono avvenute tra il primo e il terzo secolo, pensiamo per esempio all’epoca di Nerone, quando erano capri espiatori e a loro erano addossate tutte le colpe. Lo storico Tacito parla di supplizi atroci con crocifissioni, decapitazioni e cristiani che venivano anche bruciati vivi … tutto nella pubblica piazza davanti a molte persone per seminare terrore e convincere i presenti a non imitarli. “ I romani ottennero, però, l’effetto opposto: “In realtà, – ha precisato infatti la relatrice- aver reso la loro persecuzione e uccisione eventi pubblici generò una grande venerazione e finirono col diventare una sorta di eroi per la loro fine così crudele… Non bisogna dimenticare gli apostoli, i primi ad esser uccisi dopo Gesù. ( Qui in Santo Stefano sono raffigurati nell’affresco dell’ultima cena). Tutti sono diventati martiri, tranne San Giovanni che per miracolo non morì in quel modo. Le persecuzioni più grandi avvennero tra il terzo e quarto secolo con gli imperatori Diocleziano e Galerio, quando il martirio venne anche istituzionalizzato. In una raffigurazione si vedono i vari tipi di tortura usati… Con l’imperatore Costantino il cristianesimo diventò religione di stato, perciò si può dire che la chiesa dei martiri con lui trionfò e il cristianesimo diventò religione privilegiata.” Ha quindi proseguito: “si diffuse il culto e l’iconografia dei Santi, in particolare la figura di Gesù, della Madonna e dei Santi principali. Erano dei modelli e degli esempi ed era importante ricordare cosa avevano fatto; a tal proposito, lo strumento utile erano i racconti. Perciò nacque un nuovo genere letterario, l’agiografia che significa scritture di cose sante, perché appunto sono narrazione delle vite dei Santi. … riguardo l’agiografia, nomino la “Legenda Aurea”, un’opera agiografica che raccoglie centocinquanta vite dei santi ordinate secondo il calendario liturgico. E’ un’opera scritta nella seconda metà del tredicesimo secolo da un frate, Jacopo da Varazze, vescovo di Genova , ed è stata molto importante perché forniva suggerimenti su come rappresentare i santi nell’arte. Così i pittori, tra cui proprio Simone II, si rifacevano a quest’opera che si diffuse ovunque, all’inizio sotto forma di manoscritto, poi come stampa .
La dottoressa ha chiuso la parte storica spiegando che “i Santi sono stati venerati in modo concreto con i santuari e le reliquie. Costantino promosse un enorme progetto di edificazione di chiese e siti con le tombe dei Santi. Un altro strumento che permise la diffusione del culto dei Santi è rappresentato dalle reliquie: nel Medioevo infatti si pensava che, aprendo le tombe, l’influenza del Santo fosse maggiore; così a un certo punto si iniziò a traslare le reliquie e a dividerle tra le varie comunità perché si riteneva avessero poteri miracolosi. Purtroppo ebbe così origine la proliferazione di reliquie false.

Affreschi del Baschenis sui martiri

La relatrice è tornata, quindi, a parlare del Baschenis: “Simone ha seguito il racconto degli atti degli apostoli per i primi episodi, mentre dopo si è affidato a racconti di manoscritti. Difficile, quindi, stabilire l’attendibilità storica. Possiamo definire l’opera del pittore bergamasco come un ciclo agiografico. Nella prima scena Santo Stefano viene consacrato vescovo. E’un ragazzo giovane che subito si mostra però pieno di fede, di spirito e di sapienza, come dimostra chiaramente nella seconda, dove argomenta le sue conoscenze che, nella terza scena, vediamo essere da lui spiegate ai filosofi. Nella quarta la sua bravura suscita le invidie dei sacerdoti che lo accusano di aver bestemmiato e lo portano davanti al sommo sacerdote, sulla destra nell’opera. Stefano è bravissimo, tanto che i giudei non sanno più come fare a liberarsi di lui. Nella quinta c’è la visione della Santissima Trinità e gli viene predetto il vicino martirio, mentre intorno stanno i giudei ancora arrabbiati con lui. Nella sesta troviamo l’episodio della lapidazione col Martire rappresentato in ginocchio in preghiera per chiedere perdono per i suoi uccisori, come fece Gesù. C’è anche Saulo che all’epoca stava con gli uccisori e poi dopo la conversione divenne Paolo. Infine c’è la scena della sepoltura e alcuni miracoli. “ L’esperta ha proseguito nella descrizione: “Ci spostiamo dall’anno 36 a quattro secoli dopo ed il protagonista è un sacerdote, Luciano, che ha avuto tre visioni e si convince a parlare col vescovo di Gerusalemme e a cercare la tomba di Santo Stefano. Si considera che tale episodio sia avvenuto il 3 agosto 415, quindi quasi quattro secoli dopo la morte del santo. Inizialmente, infatti, Santo Stefano veniva festeggiato in quella data, mentre poi il giorno a lui dedicato fu spostato subito dopo il Natale.” Garbari ha quindi evidenziato con un po’ di amarezza: “E’ sempre molto difficile stabilire la veridicità di fatti così lontani nel tempo, però la scena numero quattordici ci dice che il corpo di Stefano è stato portato a Costantinopoli per un errore, perché scambiato con un altro. Da lì sarebbe stato portato a Roma, dove le sue reliquie contribuirono a guaire molti malati, finché fu collocato nella Chiesa di San Lorenzo Fuori le Mura. Gli ultimi episodi sono quelli più corrosi dal tempo e rappresentano miracoli, l’ultimo con preghiera vicino alla sua tomba”. La dottoressa Garbari ha precisato che “In realtà ci sono molte comunità che si vantano di possedere reliquie, quindi è difficile capire quali siano vere. Non solo in Italia, ma in tutta Europa molte sono le comunità che hanno lui come patrono e hanno costruito chiese a lui dedicate. Nel diciottesimo secolo a Roma c’erano addirittura quattro chiese che vantavano di possedere un suo braccio. Di sicuro c’è stata una diffusione anche di falsi e perciò è difficile stabilire la verità. “ Ha sottolineato comunque che: “Certamente le reliquie e le chiese sono stati strumenti che hanno permesso la diffusione della religione cristiana, come anche queste opere d’arte che raccontavano, e raccontano ancora oggi, con le immagini la storia di un Santo o episodi legati alle sacre scritture.

La relatrice Garbari argomenta

A questo punto l’esperta d’arte ha ripreso a parlare delle figure raffigurate sulla facciata della Chiesa: “Un altro martire ritratto nella Chiesa di Santo Stefano è Giacomo maggiore, rappresentato col bastone e il mantello giallo, proprio come un pellegrino, dipinto in epoca precedente rispetto a Simone II Baschenis. E’ da considerarsi il primo apostolo martire e si racconta che fu ucciso nel 43 d.C. e il suo corpo fu portato sulle coste della Galizia. Nel nono secolo sono state trovate le reliquie e da lì è nata quella che oggi è una delle più famose mete di pellegrinaggi, Santiago, che significa appunto Giacomo, di Compostela. Altri apostoli da considerare martiri sono Giacomo minore e Filippo, sepolti nella Chiesa dei Dodici Apostoli a Roma, uno morto per lapidazione e l’altro per crocifissione e sempre dipinti insieme.
Un altro Santo– ha proseguito la Garbari – molto importante e presente sulla facciata è San Vigilio, immagine votiva commissionata, ora un po’ rovinata. E’un Santo molto venerato in questa zona, perché fu terzo vescovo di Trento: infatti è dipinto con il copricapo vescovile. Secondo la leggenda fu ucciso e a Spiazzo e poi portato a Trento dove fu sepolto nella cattedrale. Ci sono molte chiese ed affreschi a lui dedicati; basti pensare alla chiesa cimiteriale di Pinzolo con il ciclo di affreschi della danza macabra, ventisei scene, meglio conservate rispetto a queste di Carisolo, perché collocate all’interno. Come Santo Stefano, anche San Vigilio morì per lapidazione. C’è anche San Sebastiano, legato ad una colonna, San Giorgio, rappresentato come un cavaliere che uccide il drago, simbolo del male, e che salva una fanciulla. San Cristoforo è dipinto all’esterno; secondo la leggenda, era un brigante che trasportava le persone da una riva all’altra di un fiume. Una volta, si rese conto che un bambino da lui traghettato da una riva all’altra era proprio Gesù. Il suo nome significa proprio portatore di Cristo. Viene considerato un martire ed anch’egli è molto venerato.
La dottoressa ha così concluso questa parte: “San Fabiano si rifiutò di far sacrifici come chiedevano i romani ed è considerato martire perché morì di fame in carcere ed è un martire Papa.

Presente anche un riferimento alle donne: “Non mancano tre figure femminili, accomunate dall’esser morte per aver rifiutato di andare in mogli a governatori o personaggi romani molto importanti. Da sinistra, Caterina d’Alessandria, uccisa schiacciata da una ruota dentata, Sant’Orsola, uccisa sotto Diocleziano, e Santa Margherita col simbolo del drago che voleva sbranarla, ma che sparì dopo il segno della croce che lei fece. Anche loro hanno dato la vita per testimoniare la fede cristiana.
Silvia Garbari ha terminato spiegando il suo scopo: “Volevo trasmettere il messaggio che il cristianesimo è riuscito a diffondersi in tutto il Medioevo grazie a queste figure di Santi e martiri e anche grazie alla loro rappresentazione nell’arte che è stata una luce in quei secoli bui. Oggi ci sono altri tipi di martirio e mi piace citare le parole del Santo Papa Giovanni Paolo II al riguardo: – Il martire, in effetti, è il più genuino testimone della verità sull’esistenza. Egli sa di avere trovato nell’incontro con Gesù Cristo la verità sulla sua vita e niente e nessuno potrà mai strappargli questa certezza. Né la sofferenza né la morte violenta lo potranno fare recedere dall’adesione alla verità che ha scoperto nell’incontro con Cristo. Ecco perché fino ad oggi la testimonianza dei martiri affascina, genera consenso, trova ascolto e viene seguita- .

Le figure femminili

Cos’altro aggiungere, soprattutto dopo una citazione così dotta? Soltanto che l’evento, grazie alla bravura della relatrice, è stata una bella occasione per conoscere meglio un importante luogo, inserito tra l’altro nel sondaggio FAI come luogo del cuore per l’anno 2018.
E’ possibile visitare la chiesa di Santo Stefano anche durante il periodo natalizio: dalle 10:30 alle 12 da mercoledì 26 Dicembre, proprio il giorno di Santo Stefano, fino al 6 Gennaio, giorno dell’Epifania. In caso di avverse condizioni meteorologiche, però, la chiesa resterà chiusa.
Per visite guidate a gruppi (minimo dieci persone massimo venticinque) contattare la Pro loco Carisolo: 0465 501392.