Ho partecipato a metà Novembre del 2017 ad un incontro in Bocconi su un tema che mi ha sempre coinvolto. Sono passati un paio di mesi e solo ora, anche sull’onda della serie televisiva “Liberi sognatori”, dedicata da Mediaset a quattro eroi della società civile, e alla fiction andata in onda sulla Rai riguardante la vita di Rocco Chinnici, ho deciso di riprenderlo e proporvelo.
Si tratta della lotta alle mafie, un argomento molto sentito, e sempre attuale. A questa tematica, come vi dicevo, e in particolare alle infiltrazioni mafiose nel settore agro alimentare, è stato dedicato un evento dalla associazione Bocconi Students against Organized Crime, nel pomeriggio di martedì 14 Novembre.
Il convegno è iniziato con la proiezione di un breve filmato con le voci di alcuni autorevoli personaggi che nel presente e nel passato si sono battuti, o continuano a farlo, contro le mafie: Peppino Impastato, don Puglisi, Falcone, Borsellino, Libero Grassi, Giovanni Paolo II, Nino Di Matteo, Saviano, Cantone e Don Ciotti. E’, quindi, intervenuto Alessandro Ghiretti, vice presidente dell’Associazione bocconiana, il quale ha spiegato che “è la prima associazione in Bocconi ad occuparsi di questo tema; è prima di tutto divulgazione, ma è anche ricerca, studio, formazione personale, educazione alla legalità e, per usare le parole di Impastato, alla bellezza. Tanti ragazzi si sono impegnati per un fine comune e speriamo di ispirare tante altre persone ad unirsi a questa missione che nel nostro piccolo cerchiamo di portar avanti ogni giorno.”
Lo studente ha, quindi, presentato i due ospiti: “Il primo il presidente del Parco Naturale dei Nebrodi Giuseppe Antoci che da anni si occupa di lotta alla criminalità organizzata specialmente contro il fenomeno delle agro mafie diffuse sul territorio siciliano. Sua la relazione sul protocollo di legalità interamente recepito all’interno del codice antimafia, di fresca approvazione…” ( approvato definitivamente dalla Camera il 27 Settembre 2017, nda) Secondo ospite il giornalista del Corriere della Sera Alessio Ribaudo ospite importante, in quanto primo ad aprire una vera inchiesta sulle agro mafie da cui sono emersi risultati sconcertanti…” Ghiretti ha concluso dicendo che “c’è bisogno di una rivoluzione culturale che richiede mente, cuore e cieca fede in un ideale e pensiamo che gli ospiti possano darci qualche spunto.”
La parola passa, quindi, a Ribaudo che inizia il suo intervento col racconto di due aneddoti che l’hanno incuriosito, spingendolo ad approfondire questa tematica: “Due anni fa lessi un’informazione di agenzia sul fatto che la camorra si era infiltrata nella produzione delle mozzarelle di bufala con un clan da far tremare i polsi, quello degli Schiavone, protagonista della famosa serie Gomorra. Anziché dedicarsi ad altro, come estorsioni o traffico di droga, questo clan aveva iniziato a commerciare mozzarelle. Tre mesi dopo è successa un’altra operazione, contro il clan dei Piromalli. E’ bene sottolinearli i loro nomi, perché queste famiglie si sono trasferite e ve li ritroverete a Milano, nella vostra attività lavorativa. I Piromalli, ad esempio, commerciavano pomodori e imponevano l’ azienda che doveva lavorare coi supermercarti, quella che doveva esportare al nord… ed avevano avviato anche un import export di agrumi con l’America. Se ne erano accorti gli uomini dell’FBI perché avevano intercettato un camion di agrumi che nascondeva cocaina.”
“I due fatti – spiega il giornalista- mi hanno incuriosito e ho iniziato a studiarci su. Poco tempo dopo, in una intercettazione telefonica, risulta che Matteo Messina Denaro viene chiamato “quello dell’olio”. Non capivo e, quando noi giornalisti non capiamo, ci rivolgiamo ai carabinieri. Però anche loro non sapevano molto, ma mi è venuto in soccorso Caselli, procuratore a Palermo in anni terribili..” Il cronista del Corriere narra quindi cos’ha scoperto grazie a questo importante personaggio, arrivando alla conclusione che le infiltrazioni della criminalità non costituivano più una mafia secondaria, una mafia antica che era nata per proteggere i pascoli… Caselli aveva capito che, sommando tutte queste operazioni, si calcolava un giro d’affari di oltre dodici miliardi, una cifra da far tremar i polsi. Non solo, sei mesi dopo erano ventun miliardi, con una crescita del trenta per cento rispetto all’anno precedente. “Ciò significava una cosa sola: c’era un problema. Mentre le forze dell’ordine si concentravano su traffici, sulle estorsioni, la mafia aveva capito che era più conveniente lasciare la lupara a terra, mettersi il doppiopetto e infilarsi nel made in Italy, perché il comparto agro alimentare vale 250 miliardi di euro, ci sono 1,3 milioni di imprese che commerciano e quest’anno l’occupazione è salita del 4,9 % nonostante la crisi.”
Il giornalista arriva, a questo punto, a parlare di Antoci:” Io sono andato via dalla Sicilia vent’anni fa, quando si iniziava veramente a combattere una lotta alla mafia senza quartiere. Vent’anni dopo (precisamente nel 2013, nda) Antoci è diventato presidente del Parco Naturale dei Nebrodi e gli chiedo di dirvi quanto guadagna.”
Interviene, così, Antoci che, prima di rivelare la cifra, vuole innanzitutto “ringraziare per l’invito, contento di essere qui perché ritengo che la vera lotta alla mafia, la vera affermazione della legalità nasca da incontri come questi, perché voi siete il presente, prima che il futuro , quindi penso sia la migliore sede per condividere questo concetto di normalità.” Ha, poi, fatto, una doverosa precisazione: “ Iniziamo subito nel modo giusto: questo Paese, la Sicilia come l’Italia, non ha bisogno di simboli e di eroi, io faccio solo il mio dovere. Quanto al reddito, il presidente del Parco dei Nebrodi ha un’indennità di circa settecento euro al mese.”
Ribaudo riprende la parola spiegando che “ Antoci arriva al Parco dei Nebrodi, il più grande polmone verde della Sicilia, attraversato da tre province con tante specie rare d’animali e bellezze incredibili, e capisce che c’è qualcosa che non funziona. La prima cosa che fa è un colloquio con tutti i dipendenti per assegnare loro il posto giusto, in base alle effettive competenze. Io immaginavo le pressioni che avrebbe ricevuto dai politici… e, dentro di me sorridevo…Invece, c’è riuscito ed ha venduto le automobili che non servivano, facendo un’asta per non caricare l’ente anche di quel costo. Lì iniziai a capire che non stava scherzando, anche perché lui aveva già un lavoro sicuro in banca. Eppure, da civil servant, si è messo al servizio della comunità per rilanciare il Parco che veniva da gestioni commissariate infinite. Ma non è tutto, – continua il giornalista- si accorge che il meccanismo degli appalti non va; ha la fortuna di parlare con un funzionario di polizia preparato ed inizia a comprendere che la mafia si è infiltrata nei finanziamenti statali ed europei che ammontano, solo in Sicilia, a cinque miliardi di euro. Lui ipotizza quello che è stato ribattezzato il protocollo Antoci, recentemente recepito dal codice antimafia. Esattamente cos’è e quanto fa guadagnare ve lo spiega lui.“
“Quando mi sono insediato alla Presidenza -dice il Presidente-, il Parco comprendeva 23 comuni, divisi in tre province, recentemente se ne sono aggiunti altri 24. Mi hanno raccontato di metodi mafiosi con cui impedivano di fatto agli agricoltori di partecipare ai bandi pubblici: i Comuni, la Regione emanavano bandi per l’affitto dei terreni e loro partecipavano attraverso una società nella quale avevano inserito nomi di calibro. Gli agricoltori per bene avevano paura e si ritiravano e i bandi venivano così aggiudicati sempre e solo a loro che incassavano contratti pluriennali, senza creare posti di lavoro e senza nemmeno metter piede nei terreni, mentre gli agricoltori onesti stavano a guardare, impauriti, perché ,quando provavano a partecipare, scattava la ritorsione. Pensate che negli ultimi dieci anni, e solo in quel territorio, si contano dieci omicidi non risolti, tra cui un sindaco ucciso con una fucilata in faccia.”
Il Presidente spiega, a questo punto, il passo successivo: “Allora comincio a studiare a fondo la situazione,vado dal prefetto e gli dico che c’è un problema: questa soglia per i fondi europei è una follia, perché le famiglie mafiose gestiscono i terreni del Parco, in quanto si erano presentate solo loro ai bandi, li avevano vinti, presentando un’autocertificazione sicuramente falsa. Decidiamo di stendere un protocollo, usando la sentenza di Cassazione che afferma che hanno valore di legge, abbassando la soglia a zero euro. Intanto, però, insieme alla distrettuale antimafia di Caltanissetta, propongo di indire un bando con scadenza dieci giorni prima della firma del protocollo. Loro creano una società con quattro nomi, e nessun altro, come sempre, partecipa. Faccio assegnare loro il bando in via provvisoria, per effettuare dei controlli. Intanto firmiamo il protocollo e io scrivo al prefetto per chiedere il controllo dei quattro nominativi. Sorpresa? Il migliore dei quattro era condannato in base all’articolo 416 bis per associazione di stampo mafioso! Revoco il bando e li denuncio per false attestazioni. “ Antoci evidenzia: “Quello è il primo segnale per Cosa Nostra che qualcosa non avrebbe più funzionato come prima. Ricordo che, negli ultimi anni, il sostentamento per il mercato della droga e altri traffici, Cosa Nostra l’aveva preso dai fondi europei. Era quel settore che nessuno aveva mai toccato, ma questo protocollo li mette in grande difficoltà. Naturalmente, chiedo al prefetto di evitare che persone con problemi con l’antimafia possano partecipare ai bandi, ma si presenta il problema con quelli in essere. Arrivano le prime quindici istruttorie, tredici interdittive antimafia, poi altre per una percentuale dell’ottanta per cento.” Il presidente del Parco precisa che ”questa legge consente alle forze dell’ordine, soprattutto alla DIA, di sequestrare i patrimoni delle famiglie mafiose. La moglie di un capomafia mi ha mandato un sacco di “benedizioni” per aver prosciugato la famiglia… La mafia ha paura dell’aspetto finanziario, tant’è vero che, quando tocchi le tasche, spara. Noi abbiamo preso il loro giochino e gliel’abbiamo tolto, rotto… gliel’abbiamo tolto e lo stiamo restituendo a coloro che se lo meritano.”
Riprende la parola il giornalista che chiarisce: “Lui l’ha fatta breve e facile, ma non è stata né breve né facile… Io ho iniziato a parlare di agro mafie nel 2014 e l’importanza dell’argomento per un giornale la misuri in centimetri. La prima volta che scrissi di agro mafie mi diedero poche righe: mi sono vergognato e non l’ho nemmeno firmato!”
Ribaudo prosegue ricordando il primo incontro con Antoci: “ Era l’agosto 2015 ed eravamo con un dirigente di polizia che parlava dei meccanismi di infiltrazione, facendo nomi. Ho avuto una fulminazione notando che erano le stesse famiglie che vent’anni prima facevano estorsioni etc… Mentre Antoci spiegava il protocollo, avevo la netta sensazione che la sua vita fosse a rischio, perché esiste una differenza in chi combatte la mafia. Ci sono tanti che fanno un’antimafia parolaia, si riempiono di parole, parlano di mafia, camorra, n’drangheta… per concetti generali, non entrano mai in una famiglia, in un appalto; si tengono sul generico. E questo non serve a niente. Solo quando si colpiscono i soldi, la credibilità della mafia, lì si rischia la vita. Falcone, che la vita l’ha persa, diceva di cercare i soldi, perché l’unica cosa che fa veramente male a quella gente è quando sequestri i loro averi.”
Ribaudo parla quindi, con un po’ di amarezza delle difficoltà riscontrate: “Quando tornai a Milano, insistetti per ottenere il permesso di fare un’inchiesta parlando di come la mafia entrava nell’agricoltura. Mi ci sono voluti tre, quattro mesi e alla fine mi hanno dato sei pagine, pensando che non sarei riuscito, sottovalutando la cosa. Pier Luigi Vercesi, l’allora direttore di Sette (l’allegato settimanale settimanale del Corriere, nda) lesse le prime righe e si pentì di non avermi dato il permesso prima. L’ inchiesta fece comunque sorridere tante persone, ho ricevuto telefonate di colleghi che mi davano del pecoraio. E io dicevo di star attenti, che Antoci stava rischiando la vita e presto avrebbe avuto dei problemi. Passarono sei mesi e lui subì un attentato ( la notte fra il 17 e il 18 Maggio del 2016 nda); allora gli stessi colleghi che mi avevano deriso, iniziarono a tempestarmi di telefonate e messaggi per chiedere informazioni. L’importante è fare il proprio dovere, Antoci ha ragione quando dice che non c’è bisogno di eroi, ma ognuno deve fare la propria parte… E ricordiamo che la mafia uccide anche, anzi soprattutto, con le calunnie.”
A questo punto, il cronista fa un appunto agli organizzatori dell’evento “ Le infiltrazioni mafiose nell’agro alimentare non sono un problema solo della Terra del sole, come recita il titolo che avete dato all’evento, perché l’osservatorio di Caselli ha stilato una classifica delle città dove le agro mafie si sono maggiormente infiltrate. La prima è Genova e la seconda Brescia! Questo per dire che la mafia fa estorsioni al sud, ma la mente economica è tutta nel nord Italia, basta ricordare che in Lombardia alcuni comuni sono stati sciolti per infiltrazioni mafiose e c’è un processo anche in Emilia ( si tratta del maxiprocesso Aemilia che riguarda appunto le infiltrazioni della mafia in Lombardia ed Emilia Romagna e ha avuto inizio nel 2013. Il 23 di questo mese, è stato fermato dai carabinieri Giuseppe Sarcone, ritenuto il reggente della cosca emiliana della n’drangheta e il giorno successivo in alcuni piccoli paesi della provincia di Cremona c’è stato un blitz dei carabinieri che hanno recuperato munizioni, effettuato un arresto e fatta partire una denuncia nda). E’ stato dimostrato che le mafie, soprattutto la n’drangheta, hanno riproposto la loro struttura al nord. Inoltre, i pontili di Alassio erano tutti in mano alla n’drangheta…e si potrebbe continuare ancora.”
Tornando ad Antoci e al suo attentato, Ribaudo parla della reazione dello Stato, che “da ventitre anni non veniva attaccato, perché c’era stata una sorta di codice, in base al quale la mafia non sparava alle istituzioni. Ma nel frattempo erano arrivati i corleonesi e le cose erano cambiate… E’ comunque fondamentale che l’attentato ad Antoci abbia avuto clamore mediatico, perché l’ Italia intera si è interrogata sul motivo e si è interessata al fenomeno delle agro mafie e il procuratore della Repubblica Messina, già vice di Caselli, in conferenza stampa parlò di atto di stampo mafioso senza mezzi termini. ”
Interviene di nuovo il Presidente per una precisazione: “ Nella fase che vi ho raccontato della creazione del protocollo, loro non sono stati a guardare, ma hanno agito con proiettili, lettere di minaccia, drenando risorse ai privati… Hanno fatto anche ricorso al TAR, dopo la firma del Presidente della Regione. Non solo il TAR, però, rigettò la sospensiva, ma entrò anche nel merito, parlando di condizionamenti mafiosi.” Per quanto riguarda l’attentato ordito contro di lui, ha usato parole pesanti: “Sono diventato un’altra persona. La mafia è fatta da gente vigliacca, ma non farò sconti a nessuno. Proprio nel paese di Matteo Messina Denaro ho detto che il loro concetto di uomo d’onore è diverso dal nostro, ho intimato al latitante di uscire fuori, altrimenti si dimostra solo un vigliacco.” Tornando al protocollo, il Presidente ha affermato “l’applicazione è una realtà nazionale sulla quale lo Stato deve organizzarsi per dare certificazioni alle persone perbene e i ministri degli Interni, Minniti, e dell’Agricoltura, Martina, in verità stanno lavorando molto su questo fronte”.
Racconta, quindi, un grave fatto che ha colpito sua moglie: “Il 23 luglio dell’anno scorso provai la stessa rabbia della notte dell’attentato, perché mia moglie finì in ospedale per i battiti del cuore impazziti a causa di un articolo comparso in un blog di Messina, ripreso da uno di Agrigento, in cui si affermava che lei fosse parente di un boss. Si trattava, invece solamente di un caso di omonimia. Reputo il fatto un atto di una vigliaccheria allucinante. In seguito, si è scoperto che dietro questa impostazione c’erano due legali di Cosa Nostra che avevano suggerito ai giornalisti del blog di buttare fango sulla mia famiglia. Se qualcuno pensava di fermare il protocollo, si sbagliava, perché noi siamo molti più di loro, se ne devono fare una ragione.” Antoci ha poi confessato con un filo di commozione “Tanti dispiaceri, paure e preoccupazioni ci sono ogni giorno e in questo percorso hanno rappresentato una parte importante le persone che mi stanno accanto. Io ho molta paura e in certi momenti mi sento, come mi disse un investigatore, seduto su una polveriera. Ci sono state, e ci sono, delle persone che hanno rappresentato la vera mia forza. Si tratta della mia famiglia, mia moglie e le mie figlie. A un certo punto pensai di chiedere a quella maggiore se voleva che mi fermassi, in quanto era nel suo diritto. Il giorno dopo lei mi venne a dire che dovevo fare una cosa per lei, per le sue sorelle e per le sue amiche: non fermarmi, tanto loro sarebbero sempre state al mio fianco. Questo momento me lo porto nel cuore e me lo porterò sempre.”
Ha ripreso la parola il giornalista tornando su una parte del discorso del Presidente: “Sulle fake news, il mio consiglio è avere un atteggiamento da giornalista: quando leggete su facebook una notizia, non fermatevi mai, andate oltre e, soprattutto, se siete di destra, leggete Repubblica, se siete di sinistra, leggete Libero o, meglio ancora, scegliete il giornalismo di qualità, perché ci sono tanti organi di informazione che fanno questo mestiere seriamente. Basta fare due click in più e si scoprono tante altre cose. Ho parlato di blog: non sono il male assoluto, in quanto ce ne sono alcuni fatti bene, ma anche tanti fatti male perché la Costituzione dice che tutti possono esprimere la loro opinione. La differenza sta nel fatto che io vengo pagato, giudicato ed eventualmente licenziato, mentre tutti possono aprire un blog e per molti diventa verità qualsiasi cosa.” Ribaudo ha poi spiegato anche che: “ In redazione mi prendono sempre per il bastian contrario, allora ho detto una cosa semplice: ci sono quelli che parlano di antimafia e poi nei fatti fanno pochino; quelli che si dedicano solo all’antimafia e fanno opera meritoria perché, più se ne parla, più la gente prende coscienza critica e ci si fa gli anticorpi e, infine, ci sono quelli che pensano che antimafia è sviluppo. Si capisce che tutta questa discussione è tesa a dare la possibilità a giovani come voi di poter anche ipotizzare di rimanere nella propria terra.”
Complimenti a tutti: agli studenti che hanno organizzato l’evento e agli autorevoli ospiti che l’hanno reso molto interessante, fornendo più di uno spunto su cui riflettere, perché tutti possiamo fare qualcosa, partendo dal tenere gli occhi ben aperti e la testa fuori dalla sabbia..
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