L’estate è un ricordo ormai lontano, ma con l’avvicinarsi della stagione invernale, il pensiero va con piacere a Carisolo, piccolo paese della Val Rendena posto tra Pinzolo e Madonna di Campiglio, base “storica” delle mie vacanze in ogni stagione dell’anno.
Vi ho già illustrato alcuni degli eventi cui ho partecipato; su uno ci sto lavorando parecchio e non so dirvi quando lo pubblicherò… Oggi, però, ho pronto e vi presento la relazione dell’ultimo degli eventi della rassegna “Tra arte, storia e leggenda”, organizzata nel mese di agosto dal gruppo delle volontarie per Santo Stefano. Il tema trattato in quell’ultima domenica delle mie vacanze riguardava il dipinto dell’Ultima Cena presente all’interno della chiesa cimiteriale di Santo Stefano ed in particolare la sua iconografia, la simbologia e la caratterizzazione dei personaggi. L’iniziativa ha visto come relatrice la studiosa Anna Moratelli che ha lodato “le volontarie del gruppo per Santo Stefano perché hanno come obiettivo la valorizzazione dei beni preziosi che qui possediamo; il loro impegno è importantissimo.” Ha aggiunto di far parte “della delegazione del FAI di Trento che ha lo stesso obiettivo, far conoscere i beni sul territorio perché quando si conosce qualcosa, la si ama, diventa luogo del cuore che si vuole conservare… faccio parte anche di un gruppo di studio, promosso dalla Curia di Trento, che approfondisce la conoscenza delle chiese del Trentino; alla fine di un percorso e con il superamento di un esame diventiamo guide volontarie.” Ha voluto spiegare che “il nome di questo gruppo di studio è Anastasia, dal greco resurrezione, scelto anche perché acronimo di Amici nell’arte sacra tra architettura, simbologia, iconografia e agiografia. Il nostro compito è coniugare la storia dell’arte, ma anche l’aspetto liturgico e della simbologia”.
Parlando, quindi, del luogo in cui ci si trovava, ha affermato: “l’origine di questa chiesa si perde nella notte dei tempi. Nella seconda metà del 1400 in queste zone arrivarono le famiglie dei Baschenis, molto famosi perché nelle Valli delle Giudicarie, in Val Rendena, nelle valli di Sole e di Non furono presenti per più di un secolo, pronti a rispondere alle comunità di fedeli e alla devozione popolare. Arrivarono dal bergamasco, pittori itineranti, e seppero rispondere alla semplice fede della gente che qui viveva… sono stati coloro che hanno dipinto la Bibbia dei poveri. Durante il Medioevo il popolo era ancora molto intriso di magia ed esoterismo e perciò aveva bisogno di vedere immagini sacre ed ecco che la comunità cristiana chiamò questi pittori per dipingere il messaggio evangelico.” Ha chiarito che, comunque, nella loro opera non c’era improvvisazione “… dovevano pianificare il loro intervento in maniera approfondita, perché l’affresco non ammetteva errori, si doveva stare nei tempi, entro una giornata al massimo. La parete veniva preparata con l’arriccio, una malta composta da sabbia grossolana di fiume, calce spenta ed acqua. Su questa prima intonacatura, veniva preparato lo strato più importante, l’intonaco, un impasto fatto con sabbia di fiume fine, polvere di marmo, calce ed acqua. Su questo strato, ancora umido, (da qui il nome a fresco, nda) il pittore stendeva il colore (La principale difficoltà di questa tecnica, è dovuta al fatto che non sono ammessi ripensamenti, perché il colore steso viene immediatamente assorbito dall’intonaco e i tempi stretti di realizzazione, come precisato dalla relatrice, complicano non poco il lavoro dell’affrescatore nda) …un altro metodo era il carboncino e l’altro, in quell’epoca forse ancora più usato, era lo spolvero: i pittori preparavano il loro disegno su un cartone a grandezza naturale dell’opera e poi bucherellavano le linee che componevano le figure. Appoggiando il cartone sull’intonaco fresco, lo spolveravano con un tampone intriso di finissima polvere di carbone o di ocra rossa; così la polvere, attraverso i buchi, lasciava la traccia da seguire per la stesura del disegno con il pennello. Anche in questo caso, naturalmente, era una corsa contro il tempo, massimo tre/quattro ore.”
Arrivando a parlare dell’Ultima Cena presente all’interno della chiesa di Santo Stefano, la ricercatrice ha spiegato che “non si sa con certezza chi sia l’autore, potrebbe essere Antonio Baschenis o forse la sua bottega. C’è ancora dello stile gotico, ma, guardando attentamente la tavola, questa è rinascimentale. Nei Baschenis è presente questa voglia di attuare un certo legame tra vecchi stili e nuove idee.” Ciò che risulta, però, più importante “è il messaggio che l’autore ha voluto trasmettere. Questa Ultima Cena è un’istantanea di un momento essenziale, la tavola è importantissima, bianca, candida.., come richiede l’occasione in quanto si tratta della cena di una festa particolare, con Gesù arrivato quasi in fondo alla sua esistenza; Lui sa che lo stanno per arrestare e vuole trascorrere questa serata coi suoi amici perché deve dire cose importanti ai discepoli… ma la tovaglia è speciale anche perché è la serata della festa ebraica più importante.” La ricercatrice vuole ricordare che “Pesach significa passaggio e ricorda, appunto, il momento importantissimo, quando dalla schiavitù d’Egitto gli Ebrei sono andati verso la terra promessa… la Pasqua ebraica ricorda il passaggio dalla schiavitù alla libertà.” A questo proposito, fa notare, a conferma di quanto appena detto, una serie di elementi “prima di tutto al centro della tavola c’è una grande coppa con dentro un agnello, l’agnello che ogni anno doveva esser presente sulle tavole degli ebrei. La prima cosa che colpisce, però, sono gli animaletti rossi sulla tavola, gamberi di fiume, una costante nelle opere dei Baschenis, regolarmente presenti nelle loro opere raffiguranti l’Ultima Cena, perché presenti nei fiumi delle nostre valli nel quindicesimo secolo e, quindi, anche sulle tavole del popolo…” La Moratelli precisa: ” Indicano, però, qualcosa di più, un valore, un simbolo: quando vengono raccolti, sono grigi mentre, quando vengono cotti, sono rossi ed ecco che potrebbe essere, com’è questa notte di Gesù, il passaggio dalla morte alla vita col colore rosso, simbolo del sangue e quindi della passione.” Non solo: “Ci sono altre due interpretazioni, un po’ particolari: era, quella dei Baschenis, l’epoca delle eresie e qualcuno iniziava a dire che nel pane e nel vino non ci fosse il corpo di Gesù e, quindi, queste eresie vengono rappresentate appunto da questi gamberi, che vanno indietro e si spostano di lato e non, viceversa, avanti verso queste nuove proposte.” Infine, “… sembrano un po’ anche degli scorpioni, animali usati per indicare gli ebrei. Siamo ancora nell’epoca in cui viene data loro la colpa di quanto fatto a Gesù… Gli storici vagliano queste tre allegorie, ma semplicemente potrebbe anche essere che i Baschenis volessero far vedere che era una tavola di tutti i giorni. ” Andando oltre questo elemento e i suoi significati “…Ci sono chiaramente il pane e il vino e tutti hanno lo stesso pesce, simbolo di riconoscimento per i cristiani. Infatti la parola greca IXΘY∑ (pesce) è un acronimo formato con le iniziali della frase “ Gesù Cristo figlio di Dio Salvatore”.
Moratelli guida quindi i presenti nell’analisi dei personaggi presenti in questa Ultima Cena: “Sopra ogni viso degli apostoli c’è scritto il nome: si contano tredici figure, ma non c’è Giuda, perché Antonio Baschenis pensa che questi sia già fuori dal gruppo, ma ha aggiunto Mattia, in realtà entrato dopo l’ascensione.” Riguardo a Giuda, la studiosa chiarisce: “ lo vediamo già collocato fuori dal gruppo appunto, un po’ piccolino, con vesti disordinate e il calcagno fuori, perché le sacre scritture dicono -tu hai il calcagno verso di me-. Sul risvolto della tovaglia non c’è il suo nome, ma un’altra parola, che qualcuno dice sia “muto”, altri “giudeo”… è un po’ difficile che sia la prima, invece, più verosimilmente, potrebbe esser la versione volgare di giudeo. Torniamo a dire che era il periodo in cui i fedeli pensavano che gli ebrei fossero colpevoli della passione e morte di Gesù, quindi dare del giudeo a qualcuno equivaleva a dargli del traditore.”
La relatrice sottolinea: “ questa è proprio un’istantanea, quasi una foto di un momento particolare, il tradimento. Siamo a metà del quindicesimo secolo e quasi tutte le ultime cene mettono in risalto questo momento, basta pensare a Leonardo da Vinci. Ricordiamo che nel 1545 ci fu un evento straordinario per la Chiesa, l’inizio del concilio di Trento come risposta alla riforma protestante e all’esigenza profonda di rinnovamento avvertita dalla Chiesa di Roma. Incominciano proprio i dipinti raffiguranti l’Ultima Cena a mettere al centro il calice col vino e il pane, l’eucaristia. In Trentino ci sono 180 ultime cene nelle chiese, parecchie e di sicuro anche nel resto d’Italia.” Tornando alla scena dell’affresco, Moratelli aggiunge: ”Gesù ha appena detto la famosa frase- Qualcuno di voi mi tradirà-. Alla sua destra Pietro, alla sinistra Giovanni, quasi sdraiato verso Gesù con un senso di abbandono. Gesù allunga la mano e dà un pezzo di pane a Giuda indicando, così, il traditore. Gli altri quasi non partecipano, perché pensano che abbia detto altro. Si consuma tutto nel trio formato da Gesù, Giovanni, Pietro con Giuda rappresentato come Baschenis voleva che venisse colto. L’ha dipinto in giallo,il colore del rifiuto.”
Dopo aver letto il passo del Vangelo corrispondente, la ricercatrice ha colto l’occasione di alcune domande poste dai presenti per ulteriori approfondimenti.
1. “I gamberi sono trenta, proprio come i denari che ha ricevuto Giuda per il suo tradimento.”
2. “I Baschenis, proprio perché famiglia di pittori itineranti provenienti da Averara nel bergamasco, erano a conoscenza di stili diversi, ma in molte chiese, come all’esterno di Santo Stefano, hanno lasciato scritte in latino a testimonianza dei loro interventi pittorici.”
3. “Bisogna, inoltre, considerare che alcuni committenti erano molto precisi nelle loro richieste; era un periodo ricco, non dal punto di vista economico, ma inteso come forte risveglio della devozione, della fede. Le confraternite erano veramente potenti e raccoglievano molte offerte dai fedeli, anzi in quell’epoca il popolo era quasi minacciato e costretto a offrire.” A tal proposito, è intervenuta la signora Trenti, membro delle volontarie per Santo Stefano che aveva presentato l’evento: “La Confraternita dei battuti, per esempio, aveva la sua sede più famosa proprio nella chiesa di San Vigilio a Pinzolo. Coltivava alcune opere caritatevoli e la raccolta fondi per opere varie. Infatti, le danze macabre di Pinzolo e Carisolo pare siano state commissionate proprio da loro.”
4. “Col Concilio di Trento – sottolinea la relatrice – ci fu un capovolgimento delle rappresentazioni sacre. Nel Concilio erano state dedicate riunioni interne alla discussione sull’importanza di educare il popolo attraverso le immagini, con una conseguente crescita delle stesse. Dopo il Concilio, invece, si è voluto riordinare per andar incontro ai nuovi dettami, molte sono state distrutte o cancellate per dare il via al nuovo corso.”
Se vi capiterà di soggiornare in questi luoghi, non mancate di fare una visita alla chiesa di Santo Stefano per ammirarne l’interno, con le testimonianze del passaggio di Carlo Magno e l’affresco dell’ultima cena.
Dal 26 Dicembre al 6 Gennaio la chiesa sarà visitabile tutti i giorni dalla 10.30 alle 12.00. Nello stesso periodo, all’esterno, sotto la prima arcata, quella della SS.Trinità o “Trono delle Grazia”, sarà possibile ammirare un suggestivo presepio, opera di Carlo Morandi, un artigiano locale.
Per chi ha programmato una vacanza dopo questo periodo, ma prima dell’apertura estiva, la Chiesa viene comunque aperta a gruppi di visitatori, con visita guidata, dietro richiesta alla locale Pro Loco (0465/ 501392) info@prolococarisolo.it
La salita alla Chiesa vi offrirà anche una splendida vista sulla valle, sul Sarca di Genova, sulla località dell’Antica Vetreria, nell’Ottocento fabbrica per la lavorazione del vetro, sulla pista di fondo, illuminata quando scendono le ombre della sera per sciate in notturna.
Potrete ammirare “… a est le forme spettacolari e fantasiose del Brenta; a ovest la Val Genova che s’inoltra profonda tra ripidi boschi e alte vette granitiche, lasciando scorgere la cima innevata dell’Adamello…”( da “Santo Stefano in Carisolo , storia, arte e fede” di Fulvia Chiappani e Graziella Trenti edito dalla Pro Loco di Carisolo).
Se d’estate il verde riempie gli occhi, il paesaggio invernale vi lascerà senza parole, per citare una canzone di Vasco, datata ma sempre bella. Con poca fatica, vi gusterete natura, arte e storia in un luogo di grande pace e serenità.
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