Oggi, 16 Ottobre, è un giorno molto importante per il mondo ed in particolare per la Chiesa Cattolica. Trentasette anni fa, infatti, fu eletto Papa Karol Wojtyla al termine del conclave, iniziato due giorni prima. I cardinali furono chiamati a scegliere il successore di Giovanni Paolo I, mancato improvvisamente il 28 settembre dello stesso anno dopo soli 33 giorni di pontificato.
Nei giorni immediatamente precedenti l’inizio del conclave emerse la candidatura conservatrice del cardinale Giuseppe Siri, così forte da preoccupare non poco la corrente progressista. Dalla parte di Siri stava l’intera alleanza che aveva come scopo la restaurazione dottrinale per far scomparire le derive più riformatrici del Concilio Vaticano II. Questa corrente godeva del supporto dei cardinali di curia e di molti cardinali del vecchio continente, la cui potenza appariva invincibile. Fra di loro da segnalare la presenza del conservatore arcivescovo di Monaco di Baviera, il cardinale Joseph Ratzinger. In un’intervista uscita sul Frankfurter Allgemeine Zeitung dell’8 ottobre 1978, dichiarò che il conclave si sarebbe trovato a dover contrastare «pressioni delle forze di sinistra», che avrebbero spinto verso l’elezione di un Papa favorevole al cosiddetto compromesso storico.
La scelta del cardinale Ratzinger si collegò alla corrente fautrice dell’urgenza di una restaurazione nella Chiesa. Come nel conclave precedente, anche in questo i cardinali desiderarono l’elezione di una guida autorevole dopo il pontificato di Paolo VI, spesso avvertito come dubbioso e incerto. Ciò si rivelò indispensabile non solo per le urgenze interne della Chiesa, ma anche per le molteplici questioni internazionali.
Prima del conclave ci furono numerose riunioni ufficiose fra i porporati. Nella corrente conservatrice il solo candidato in corsa fu Giuseppe Siri. In quella progressista, invece, oltre forse a Giovanni Benelli, non si trovò una figura in grado di soddisfare tutti. Il cardinale Hyacinthe Thiandoum rammentò: «Benelli è il candidato più quotato, sia nel terzo mondo, sia nell’est europeo, escluso Tomášek. Se lo fanno subito, è Benelli il Papa, altrimenti Poletti o Pappalardo. Se, però, nessuno degli italiani riuscisse, allora si andrebbe al candidato straniero, per esempio Wojtyła».
Pochi giorni dopo la morte di Papa Giovanni Paolo I in un’intervista concessa al quotidiano Il Lavoro di Genova, Siri diede di sé un’immagine confortante. «Non sono né conservatore né progressista e ho spesso osservato che queste definizioni sono superficiali. […] Se dovessi qualificarmi, vorrei essere considerato un indipendente, un uomo che marcia da solo e non fa parte di gruppi. Cerco di osservare, e di fare osservare, la legge di Cristo».. Siri, inoltre, preparò un piccolo programma, segnalando, come tematiche principali per il nuovo Papa, quelle di «difendere la purezza della dottrina di Cristo, difendere la legge cristiana della vita e la disciplina interna della Chiesa, che è molto mal combinata».
Giunto nella capitale, lodò Papa Luciani per il suo «richiamo non casuale, ma organico e coerente, alla dottrina di Dio e alla spiritualità». Secondo l’opinione del vaticanista Giancarlo Zizola, il 9 ottobre i cardinali riuscirono a trovare un accordo per eleggere l’arcivescovo di Genova: per lui anche l’importante cordata dei cardinali tedeschi, una tra quelle con maggior peso sui porporati provenienti dal resto del mondo. Sempre secondo Zizola, questo patto prevedeva per Siri una base di circa 50 voti già sicuri prima dell’inizio del conclave. L’Osservatore Romano si schierò per un Papa che si battesse per favorire la collegialità episcopale nel governo della Chiesa, la partecipazione dei laici e l’ecumenismo.
Ascoltando il consiglio che il camerlengo Jean-Marie Villot aveva rivolto ai cardinali, Siri schivò i giornalisti, non concedendo interviste. Nel pomeriggio del 13 ottobre, però, trovò per caso un giornalista della Gazzetta del Popolo, Gianni Licheri, che da molti giorni desiderava con insistenza un colloquio. Sebbene Siri avesse rifiutato, Licheri riuscì lo stesso a estorcere alcune frasi confidenziali. L’arcivescovo di Genova impose al giornalista di pubblicare eventualmente l’articolo solo dopo l’avvio dei lavori del conclave, rispettando in questo modo il suggerimento di Villot.
Il giornalista, però, non rispettò gli accordì e pubblicò l’intervista subito la mattina del giorno dopo, a poche ore quindi dall’inizio del conclave. Gianni Licheri presentò l’arcivescovo di Genova come «punto di riferimento di tutta quella corrente della Chiesa che, prendendo a spunto una certa esigenza di “rimettere ordine”, tenta con questo conclave di tornare alla Chiesa preconciliare». Siri sembrava così assai distante dal ritratto del futuro Papa disegnato solamente il giorno prima da L’Osservatore Romano, apparendo visibilmente contrario alle riforme del Concilio e dichiarando: «Non so neppure cosa voglia dire lo sviluppo della collegialità episcopale». Nella stessa intervista, l’arcivescovo di Genova disse inoltre: «Il Sinodo non potrà mai diventare istituto deliberativo nella Chiesa perché non è contemplato nella costituzione divina della Chiesa. Potrà al massimo divenire, se il diritto canonico lo ammetterà, un’istituzione ecclesiastica, ma non di diritto divino».
I contenuti del pezzo ebbero l’effetto di generare il panico fra i cardinali. I monsignori Mario Grone, segretario di Siri, e Giacomo Barabino, vescovo ausiliare per la diocesi di Bobbio, fecero pressioni affinché la sala stampa, verso mezzogiorno del 14 ottobre, pubblicasse una smentita ufficiale: «L’intervista, da non ritenersi tale essendosi trattato di un casuale incontro, non corrisponde a verità. Il mio pensiero, di cui pienamente rispondo, l’ho espresso nell’omelia del 5 ottobre per i novendiali di Papa Giovanni Paolo I, al quale ancora oggi mi sento legato da sincera, grande e devota ammirazione». La nota, però, non giunse ai cardinali, perché le porte della Cappella Sistina furono sigillate nel pomeriggio di quel giorno. L’arcivescovo di Vienna, Franz König, confermò che l’articolo di Licheri «circolò all’interno del conclave».
Lo stesso arcivescovo di Genova, che tempo dopo giudicò l’intervista «estorta, deformata», ha questo ricordo: «Vede, sono caduto in un tranello. Stavo uscendo dall’abitazione del giornalista Emilio Rossi, genovese, allora direttore della Rete Uno, convalescente. Era stato ferito alle gambe dalle brigate rosse. L’ascensore era rotto, scesi a piedi e un giornalista mi pregò fino alla supplica di rispondere ad alcune domande. Rifiutai. Lui non si rassegnò: mi promise che l’articolo sarebbe uscito dopo l’entrata in conclave. Non mantenne la promessa».
Alcuni vaticanisti, però, non sono molto convinti che Siri possa esser stato così ingenuo. Credono più probabile che l’arcivescovo di Genova abbia concesso quell’intervista per evidenziare le sue opinioni difformi, conscio che non avrebbe ottenuto la maggioranza. Altri, invece, teorizzano che Siri, con quelle frasi, abbia voluto togliersi dai papabili. Eppure, stando a quanto afferma Giancarlo Zizola, nel conclave dell’ottobre 1978 gli mancarono pochissimi voti per farcela, non più di quattro o cinque. Anche padre Damaso Testa, per anni confessore del cardinale Siri, il 16 febbraio 1981 disse a Benny Lai che vennero meno soltanto una manciata di voti per arrivare al quorum di 75 preferenze, necessario a diventare Papa.
Si creò, così, una situazione di stallo che si sbloccò con la proposta della candidatura di Karol Wojtyła. A questo proposito ecco ciò che affermò Franz König.
« Nei nostri paesi di questa parte del mondo ciò che si usa chiamare civiltà è ormai al tramonto. Stiamo andando giù e il futuro non è più da questa parte. Sono convinto che il rinnovamento dei valori, e la stessa religione cristiana, verrà dall’Europa, dalla stessa Russia, da quella parte del mondo attualmente a regime socialista, e nella quale l’ateismo di stato non è riuscito a far breccia e i giovani si risvegliano alla trascendenza. »
Il cardinale polacco fu eletto all’ottavo scrutinio del terzo giorno di conclave con 99 voti su 111, secondo quanto riferito dalla stampa italiana.
Accettò la sua elezione con queste parole: «Con l’obbedienza della fede a Cristo, mio Signore, e con fiducia nella madre di Cristo e della Chiesa, nonostante le grandi difficoltà, accetto». Come omaggio al suo predecessore scelse il nome di Giovanni Paolo II. Fu il primo Papa straniero dai tempi dell’olandese Adriano VI, che regnò dal 1522 al 1523, oltre che il primo polacco.
Alle 18:18 del 16 ottobre, dal comignolo della Sistina ci fu la tanto attesa fumata bianca. Poco meno di mezz’ora dopo, alle 18:45, il cardinale protodiacono Pericle Felici, con la tradizionale locuzione Habemus Papam, proclamò l’elezione di Karol Wojtyła. Quando Felici disse il nuovo nome del Pontefice, non tutti tra la folla capirono subito: alcuni, tra la folla, ipotizzarono fosse il cardinale Carlo Confalonieri mentre altri pensarono a un Papa africano.
Giovanni Paolo II comparve al balcone alle 19:15, e compì subito un gesto di discontinuità. Anziché rimanere in silenzio, infatti, fece un piccolo discorso prima della benedizione Urbi et Orbi.
Quel giorno fu molto importante, in quanto il pontificato di Giovanni Paolo II fu molto lungo, ben ventisette anni. Si rivelò, soprattutto, significativo per le svolte che Wojtyla seppe imprimere sia all’interno della Chiesa che all’esterno.
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