Premessa
E no, scusate, ma non ci sto. Non ho mai avuto problemi a definirmi “vecchia” da quando ho compiuto 61 anni ( i 60 non li ho mai fatti, perché a suo tempo li definii 59+1, sessanta mi suonava proprio male!). Adesso, invece, non ci sto: da quando il coronavirus ha fatto la sua comparsa, chi ha compiuto 65 anni è diventato debole, fragile, automaticamente e indistintamente portatore di patologie più o meno serie… Insomma noi che ci avviciniamo ai 70 ( per me saranno ancora 69+1…mi serve un po’ di tempo per metabolizzare) siamo visti come dei pesi per la sanità pubblica. Fino a ieri (veramente, fino al 7 Marzo, insomma non proprio ieri), molti di noi hanno fatto, ad esempio, i nonni di pargoli scatenati cui non volevano propinare la dose quotidiana di tranquillante sotto forma di cartoni; scorazzato per la città bimbette e maschietti con la sacca più grande di loro in scuole di danza, palestre, spogliatoi di piscine, campi da calcio; sfamato a ogni ora del giorno adolescenti brufolosi e immusoniti e fanciulle sempre a dieta e Tik Tok dipendenti… E ora? Improvvisamente siamo diventati vecchi nonnini (che fastidio l’uso di questo nomignolo), da chiudere in casa, perché gli ospedali devono curare i giovani che lavorano. Che molti di loro l’abbiano potuto fare perché a casa c’era qualcuno che li sostituiva a tempo pieno e a costo zero, non se lo ricorda più nessuno. E non è che possono portarci all’ospizio, pardon nelle RSA…e poi lì, siamo noi che non ci vogliamo andare, né ora, né mai!
P.S Ho scritto le mie prime riflessioni tempo fa, ma ora non si parla più di 65enni da proteggere, ma di 60enni…o forse varrebbe la pena di dire 59+1? La nuova profonda pensata, verrebbe in tal modo aggirata, secondo il costume italiano: fatta la legge, fatto l’inganno!
Promessa
Chiarito questo, una promessa o, forse è meglio dire, una minaccia? Ho chiesto ospitalità a Paolo perché, fra le tante testimonianze serie di persone impegnate a vario titolo a combattere il mostro, ci può stare anche la mia. Ve l’ho anticipato: sarà una testimonianza semiseria, all’apparenza leggera, perlopiù frivola, anche se non sempre. Questo perché io sono così: vecchia ( io lo posso dire!), ma per carattere non mi lagno mai, non peso sugli altri, piuttosto di chiedere, faccio da sola e colgo sempre il lato buono ( positivo ho deciso che non lo uso più!) in ogni cosa. L’ho definito diario, ma non spaventatevi, non sarà giornaliero: non ne ho il tempo, checché ne pensino le alte, ma non sempre acute, sfere. Saranno riflessioni a cadenza casuale, molto casuale. Da quando ho lasciato il mio posto in cattedra ( a essere sincera, sarebbe meglio dire in classe, perché seduta in cattedra ci sono sempre stata poco, ma questo è un altro discorso), insomma da quando sono in pensione, ho fatto mia la frase di
non so chi: “ Raggiunta una certa, tutte le frasi che iniziano con DEVI, non le sto neanche a sentire!”
Fra alti, pochi in verità…
Il pettirosso
Se n’è andato dal mio giardino prima che la vita fosse sconvolta dal mostro, un po’ prima del solito, quest’anno, forse perché ha avvertito il pericolo che stava per sconvolgere le nostre vite. Come ogni anno, era arrivato nel tardo autunno, facendo la sua comparsa sul melograno vicino al portico dove si confondeva con i piccoli frutti rossi e riusciva a nascondersi fra le foglie non ancora cadute. Sentivo il suo canto ripetuto nel silenzio del mattino, quando c’era ancora buio, gli parlavo sottovoce, lo chiamavo con il nome scelto al momento. Ogni anno cerco un nome nuovo, perché so che non può essere quello che mi ha fatto compagnia l’anno prima, data la sua vita molto breve. Che delusione quando l’ho scoperto da una ricerca in internet… Dubbio: e se fosse una fake news? Devo verificare! Più volte al giorno, per tutto l’inverno, gli ho offerto briciole e semi al self service “L’erica” (ve ne parlerò, forse in un altro momento). Così abbiamo imparato a conoscerci, lui ha imparato a fidarsi di me giorno dopo giorno, a rispondere alla mia chiamata e a regalarmi il suo dolce e sommesso canto. Addio, Cipì, a novembre aspetterò un tuo figlio, un amico, un parente… E insieme vivremo un inverno tranquillo, spero, fatto come sempre di piccole gioie. Precisazione: non è stato certo merito del mostro se apprezzo momenti fatti di niente e di tutto: sono nata in campagna, sono figlia di questa terra, ho avuto la grande fortuna di crescere con un nonno che mi ha accompagnato fino ai 17 anni con i suoi racconti e i suoi insegnamenti all’ombra del grande noce. Ho, inoltre, avuto un papà serio, ma tenero, cacciatore sui generis (anche di questo, magari vi parlerò prima o poi) e una mamma dotata della sensibilità propria di un poeta. Nemmeno il ’68, vissuto un po’ (molto) ai margini, e gli anni a Milano per l’università sono riusciti a cambiarmi. E sono molto orgogliosa di questo mio essere capace, nonostante l’età (!), di vedere e fermarmi ad ammirare ciò che altri nemmeno notano e tantomeno considerano.
Gli ospiti fissi del giardino: merli, passerotti e gazza ladra
Merli, cinciallegre, passeri nostrani, gazze, con la poco gradita incursione di qualche tortora, sono, invece, gli ospiti fissi del mio giardino. Anche loro, tranne le “stupide” ( vi spiegherò, magari, perchè questo mio giudizio) tortore, fanno colazione, pranzo, cena e qualche spuntino al self service “L’erica”. Le cince e i passeri, veramente, preferiscono i canederli appesi ai rami del melograno e degli aceri e li svuotano con una velocità incredibile, tranne nelle giornate di gelo, quando il grasso li rende un po’ troppo duri. Gli ospiti fissi, tutti a pensione completa, mi stanno facendo compagnia in questi giorni così lunghi, in questi tempo sospeso e, devo dire, sembrano molto tranquilli. Mi domando se avranno notato lo strano silenzio, l’assenza di rumore sulla strada… Vedo i merli costruire i loro nidi così perfetti, imparo a conoscere i piccoli cui insegnano a volare, mi diverto a guardarli dalla porta della cucina quando fanno il bagno nella ciotola di terracotta sempre pronta per dissetarli e per la toilette quotidiana… E i passeri, in attesa di entrare in acqua, devono farsi valere in gruppo con il merlo di turno, che non gradisce questa loro pretesa. Da qualche tempo, anche una gazza frequenta il self service e la piscina: bella elegante, ma ladra! E i merli, quando hanno le uova nel nido, al suo apparire chiedono aiuto; allora esco, la spavento e in giardino torna la tranquillità. In cambio, dalla punta della vecchia magnolia potata radicalmente a dicembre, il merlo maschio dal becco giallo e dalle piume corvine, mi regala una melodiosa serenata.
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