Dopo l’importante turno di elezioni amministrative di giugno, il prossimo appuntamento cruciale della politica italiana è, a detta di tutti, politici e opinionisti, il referendum sulla riforma Boschi della Costituzione che si terrà in autunno. E’ opportuno, perciò, che si svolgano convegni di approfondimento sul tema, considerato che molti ancora non conoscono bene il contenuto della riforma.
A tal proposito, un incontro è stato organizzato dalla fondazione Corriere della Sera il 22 giugno in sala Buzzati con la presenza di importanti relatori: il politologo e scrittore Pasquino, il cui ultimo libro si chiama proprio “La Costituzione in trenta lezioni”, l’ex presidente della Corte Costituzionale, Giovanni Maria Flick, e l’editorialista del quotidiano milanese e docente universitario, Angelo Panebianco. Ha introdotto e moderato l’evento il presidente della Fondazione, Piergaetano Marchetti, che ha esordito sostenendo che “l’afflusso di gente in sala dimostra interesse per l’argomento.” Ha poi continuato: “ Il titolo del libro di Pasquino viene da lontano e si riferisce al fortunato testo di Sartori, La democrazia in trenta lezioni. Nella prefazione del libro, Pasquino dice che non è un lavoro per giuristi, ma vuole essere una riflessione sulla Costituzione, su cosa ha significato e significa a vasto raggio, tenendo conto dei risvolti socio politici e del contesto economico.” Il testo si occupa della Costituzione formale e materiale, ha molte pagine che ripercorrono come la costituzione è stata vissuta e il ruolo che in concreto ha avuto in relazione alle leggi elettorali e allo stile dei Presidenti della Repubblica”. Secondo Marchetti, “Pasquino ci offre una visione completa e argomentata del problema e solo l’ultimo paragrafo è intitolato abolire, mutare la Costituzione, ma legato alle ragioni che, in astratto e in concreto, possono portare ad un cambiamento. C’è un punto in cui, però, la penna viene lasciata andare in modo abbastanza deciso, si tratta del bicameralismo, sul quale la sua posizione è netta: “Quando mai qualcuno ha verificato se questo sistema abbia effettivamente inciso in qualità e quantità ,tempi e modi del legiferare.”
Il presidente ribadisce, in conclusione, che “ l’approccio è di ricognizione e rivisitazione complessiva, che dovrebbe costituire la base informativa perché ciascuno si formi dei giudizi di coerenza rispetto a un problema concreto, quale appunto è la legge oggetto del referendum”, tenuto conto che “la legge nell’opinione pubblica è pressoché ignorata… Occorre un minimo di riflessione e conoscenza, solo da ciò si possono trarre giudizi motivati. Cerchiamo di ragionare nella sostanza della Costituzione che è un qualcosa che va ben aldilà di un mero testo.”
Pasquino apre il suo intervento dicendo di esser diventato “un predicatore, perché vado dappertutto a raccontare delle cose che credo siano giuste, importanti. In questa fase, si tratta della Costituzione e, come ho fatto anche nel libro, senza alcun riferimento alle modifiche proposte.” Il professore spiega che “Trenta lezioni significa, ovviamente, che non copro tutti gli articoli, ma quelli più interessanti. E più il tempo passa, più mi rendo conto che queste puntualizzazioni sono necessarie. Comincio col farne una: tutte le costituzioni devono dare regole e procedure a sistemi politici, vengono calate in essi e vivono nella storia e devono,così, esser analizzate. Poi, devono anche esser valutate nel proseguo del tempo, in base a quanto sono state in grado di organizzare quel sistema politico e farlo procedere lungo direttive. “ Poi, citando un padre costituente, Calamandrei, “la Costituzione è presbite, guarda lontano. Inoltre, è un sistema, nel senso che le due parti (costituzione e istituzioni) stanno insieme: se si indeboliscono le istituzioni,cambiano anche i diritti. I costituenti non pensarono infatti mai a due parti diverse. La nostra Costituzione ebbe apporti sociali e liberali non marginali e poi, certo, ci furono anche cattolici e comunisti.” Il docente manifesta la sua irritazione per l’uso di alcuni aggettivi: “Non è corretto l’aggettivo perfetto riferito al bicameralismo, perché attiene al funzionamento. Il nostro bicameralismo è paritario, o meglio simmetrico: le due camere fanno le stesse cose, hanno gli stessi poteri e la stessa legge elettorale… La nostra Costituzione non è la più bella del mondo, perché non c’è un concorso di bellezza (mi aspetterei, a tal proposito, un minimo di coerenza anche da un comico che andava sostenendo ciò, ma ora è per il sì) e non è nemmeno la più giovane. Semmai, la più bella, per paradosso, è quella non scritta, la costituzione inglese ( sentenze delle corti e leggi del Parlamento) perché ha la capacità di adattarsi, di esser flessibile.”
Quanto al referendum per una revisione della CostituzionePasquino puntualizza che “c’è l’articolo 138 che lo disciplina (vedi). È facoltativo, perché lo devono chiedere
• un quinto dei membri di una Camera, percentuale non elevata,
• o cinquecentomila elettori,perché hanno consapevolezza che i cambiamenti sono stati fatti male,
• o cinque Consigli regionali, perché le riforme vanno a sbattere contro i loro poteri.
Il governo, quindi, non è menzionato.”
Se proprio si vuole attribuire un aggettivo al referendum di ottobre, secondo Pasquino, si può parlare di “referendum oppositivo, perché lo chiede chi non gradisce le riforme fatte. Nel 2001, il centrosinistra chiese un referendum confermativo e fece male!” In conclusione, “Non parlate di referendum confermativo e non mi dite che bisogna chiederlo, perché non è vero.”
Il docente parla, poi, dell’atteggiamento del Premier, affermando che “ fossi il Capo del Governo, non ci metterei la faccia come ha fatto Cameron. Renzi deve solo prender atto che le riforme non sono gradite e provare a cambiarle.”
Pasquino sfata anche il luogo comune secondo cui il bicameralismo avrebbe rallentato l’approvazione delle leggi: “ Non è nemmeno lento, perché le leggi importanti, o meglio quelle ritenute tali, il governo le ha sempre ottenute anche in tempi relativamente brevi, mentre il dibattito è stato davvero infinito e complicato sulla legge sulla violenza sessuale, perché mancava accordo sulla querela d’ufficio. Ma questo attiene alla società, al modo in cui è rappresentata in Parlamento e agli interessi conflittuali, non certo al bicameralismo. La riforma proposta consentirà al capo del governo di governare meglio? E’ nel bicameralismo l’ostacolo al buon governo? Io credo di no, ci vuole ben altro! E nella riforma Boschi manca totalmente.”
A chiusura del suo primo intervento, Pasquino si dice preoccupato per il fatto che “si possa pensare che per aver ben altro, basti la legge elettorale, l’italicum, che preferirei si chiamasse europeum. Ma non hanno guardato fuori dai confini! Sarà bene ricordare che le leggi elettorali si fanno per dare potere agli elettori, non ai governi, e non con riferimento contingente, ma in maniera tale che valga per un certo periodo di tempo, perché gli effetti si spiegano solo dopo alcune volte… L’italicum è deficiente nel dare potere agli elettori.”
La parola passa, quindi, all’ex giudice della Corte Costituzionale e docente universitario, Flick, che esordisce dicendosi “perfettamente d’accordo con ciò che ha detto Pasquino. Finalmente un maestro che parla con chiarezza!” Ma completa il riferimento a Calamandrei ricordando quanto ebbe a dire a proposito della richiesta di referendum “Quando il parlamento parla di Costituzione i banchi del governo devono restare vuoti.” “E questo – afferma Flick – per una questione di semplice buon senso! Se è presente e, quindi, propone parla e fa, il Governo è quasi obbligato, poi, a trasformare il referendum in un giudizio sulla propria sorte “ me ne vado se non approvano.”
L’ex giudice, quindi, afferma che “i cittadini chiamati a votare nel prossimo referendum si dividono fra “ottimisti” e “pessimisti”: la differenza tra l’ottimista e il pessimista è che il primo è convinto che, nelle condizioni date, sia la riforma migliore possibile per tutta una serie di problemi che ne hanno condizionato le scelte. Il pessimista risponde lapidariamente con un purtroppo. Si tratta, perciò, di decidere se mettere l’accento sulle migliori condizioni possibili e votare sì o sul purtroppo e votare no. Il problema è essenzialmente questo e tutti possono rispondere, anche chi non ha una laurea in legge, chi non ha letto il libro di Pasquino e chi non ha fatto tutti i tecnicismi con cui noi giuristi ci riempiamo la bocca per rendere difficili le cose facili. Questa contrapposizione tra comitati mi lascia perplesso, tutte queste valutazioni tecniche e politiche fanno perdere di vista il significato di fondo del referendum…” Inoltre, “a proposito dell’equilibrio tra poteri, la Riforma costituzionale è stata fatta per portare chiarimento rispetto a quella sbagliata del 2001 che ha ecceduto nel dare troppi poteri alle Regioni; una riforma che peraltro ha perso i suoi padri per strada. Il rapporto eccessivo di decentramento doveva esser ridimensionato, ma si è passati all’estremo opposto, lasciando quelle trappole di ambiguità (come la clausola dell’interesse nazionale) che in realtà, nonostante le affermazioni teoriche generali, lasciano il rischio di confusione e di conflitti.” Un dettaglio della sua carriera conferma quanto detto: “Nei miei nove anni di giudice costituzionale, la massima parte del mio lavoro è stata occuparmi di come cercare di rendere applicabile e concreta la riforma del 2001!”.
Flick, quindi, tratta dell’altro grande tema, il bicameralismo, chiarendo che “ non era perfetto prima e non è pasticciato ora, ma certo è un problema. La questione di fondo è la difficoltà dei problemi legislativi: l’articolo 70 della riforma sviluppa il problema in due colonne e mezza e prevede almeno otto procedimenti legislativi diversi a seconda del tipo di legge. Allora, come si moltiplicheranno i casi di conflitti tra Stato e Regioni, proprio per la poca chiarezza, così temo si moltiplicheranno i casi di conflitto tra Camera e Senato sul tipo di procedimento legislativo da applicare a seconda della legge.” Il professore chiude il suo primo intervento auspicando che “ se i nostri nonni seppero scegliere tra monarchia e repubblica, tutti dovrebbero essere in grado di rispondere e non accontentarci di dire ma almeno cambiamo qualcosa perché magari si peggiorano le cose.”
“Non penso sia un buon argomento per chi si oppone alla riforma dire che il Governo non doveva schierarsi – afferma Marchetti – A me interessa sapere se è una buona riforma. Dagli interventi fatti oggi, è uscito è che non migliora la situazione, forse la pasticcia. Credo che, tutto sommato, il ridimensionamento del decreto legge non sia una cosa da poco. “
La parola passa a Panebianco che dice “di esser qui in minoranza”. E richiamando la citazione ancora una volta Calamandrei, afferma che lui “era all’opposizione della soluzione che venne data al problema del governo, perché lui voleva un governo forte, convinto che le democrazie con governi deboli corrono il rischio di finire nel fascismo. E questo per ricordare che Calamandrei, con una visione alquanto lucida, si trovò in minoranza su una questione centrale, che ha qualcosa a che fare con l’attuale riforma.” Il professore aggiunge che “forse in un mondo ideale, il governo non dovrebbe occuparsi di referendum, e nel caso ci fosse un referendum, il governo dovrebbe continuare tranquillamente. Ma io credo che come Cameron ( ha perso, si è spaccato il suo partito), nello stesso modo Renzi sarà politicamente in gravissima difficoltà. Nel mondo reale, quindi, i governi sono inevitabilmente coinvolti.”
Parlando del bicameralismo, l’editorialista del Corriere della Sera si dice perfettamente d’accordo “sul fatto che bisognerebbe smetterla di chiamarlo perfetto. Il bicameralismo italiano ha prodotto tempeste perfette, ma di perfetto non ha mai avuto niente, lo chiamerei parlamentarismo simmetrico come dice Pasquino.” E sulla Costituzione: “C’è un altro modo per parlarne, soprattutto della prima parte, che mette in gioco i valori di tutti noi e non sono totalmente d’accordo con Pasquino quando dice che misero in piedi una costituzione liberaldemocratica. Alcuni avrebbero preferito vivere in una repubblica fondata sulla libertà anziché sul lavoro; alcuni che i diritti economici non fossero scorporati dai diritti fondamentali, perché ciò ha legittimato una forte presenza dello Stato nell’economia. In un mondo irrealistico, io cambierei la prima parte sostituendola con un bill of rights, ma è un tabù. Nessuno ne parla, perché dicono sia magnifica e quasi tutti, intellettuali e politici, sono convinti che sia la più bella del mondo, perciò toccarla non è, politicamente possibile.” Panebianco prosegue, quindi, dichiarando che” allora si arriva alla riforma costituzionale di cui stiamo parlando. Il bicameralismo azzoppa il governo, ma finché c’era il partito dominante (la DC), il problema non si sentiva e non c’era bisogno di governi forti: era lo stesso partito dominante che faceva ruotare le sue correnti. Quando, però, è saltato questo schema, ecco che il bicameralismo diventa un problema, perché con il bicameralismo paritetico il rischio di maggioranze diverse sussiste. In conclusione,il superamento del bicameralismo paritetico serve ad un Governo più forte….Con tutti i difetti che può presentare, c’è il vantaggio di andare finalmente oltre quel sistema che paralizza il governo, tenendolo perennemente sotto scacco. Molte delle persone che sono contrarie, lo sono perché pensano che la Costituzione non debba esser toccata, perché non vogliono governi forti, considerati automaticamente autoritari. Questa è una delle tante conseguenze nefaste del fascismo.” Il giornalista si dice, infine, convinto che “Se ad ottobre passa il no, di riforme della costituzione non si parlerà più, forse ne parleranno i miei bisbisnipoti. Dato per scontato che ci sono difetti, ma che i sistemi si aggiustano e i problemi si risolvono nella prassi, si può affermare che, complessivamente, in questa riforma i vantaggi superano ampiamente gli svantaggi”
A questo punto, Marchetti dà spazio per un rapido intervento di contradditorio a Flick che precisa: “Certamente la riforma Boschi contiene anche cose positive, ad esempio sul decreto legge. Tuttavia, una delle difficoltà nel prendere una decisione, oltre al fato che il dibattito è stato sporcato da entrambe le parti (sostenitori e oppositori), è anche la presenza di una serie di domande non omogenee. Se si fosse dato retta ai cosiddetti gufi, si sarebbe deciso di procedere per leggi separate (spacchettamento) in modo che i quesiti del referendum risultassero più chiari. “ L’ex giudice della Consulta chiarisce di non temere “ la svolta autoritaria, ma una costituzione che non sia in grado di funzionare e nella quale gli errori rischiano di prevalere. Non mi piace il millenarismo, i discorsi del tipo Se non si fa adesso, non si farà più. Mi interessa che la gente vada a votare, decidendo liberamente e sapendo almeno in linea generale cosa decide.” Flick chiude illustrando il suo auspicio: “Vorrei che la gente capisse che non si va a votare per il governo, ma per decidere se alcune riforme proposte possono migliorare la nostra vita. E’ quasi più importante il modo in cui si va a votare del risultato stesso. Panebianco ha avuto la coerenza di dire che ci sono degli errori, io però dico che sarebbe meglio cercare di evitarli.”
La parola passa quindi a Panebianco che dice la sua sulla legge elettorale, collegata al referendum: “Se non passa il referendum, non passa nemmeno la legge elettorale. L’Italicum non è il mio sistema elettorale preferito, tuttavia constato che nessuno in Parlamento vuole il collegio uninominale : non lo vogliono i peones perché hanno paura di rimanere fuori, ma non lo vogliono nemmeno i leader perchè poi i peones avrebbero una forza di ricatto. Forse potreste trovarne anche dieci a favore, ma lo sono perché sanno che non ha alcuna possibilità di imporsi. Nel 1993 l’uninominale arrivò in modo avventuroso e a quel punto furono costretti ad introdurlo anche alla Camera, ma poi furono ben contenti di liberarsene, per il motivo detto prima. In un mondo ideale a me piacerebbe un sistema uninominale pulito, ma ribadisco che nella realtà di oggi non è fattibile, perché troppo pericoloso politicamente. Benché, quindi, l’italicum mi piaccia poco, lo preferisco al proporzionale e scelgo, perciò, il male minore pur rimpiangendo il mondo ideale.”
Chiude la serie di interventi Pasquino, affermando: “ A me piace soltanto che riflettiate. Non ho problemi col governo che si schiera, ma non deve minacciare gli italiani. Se vincesse il no, Renzi dovrebbe soltanto cambiare la riforma, senza creare una situazione di instabilità politica. Ritengo sia sgradevole che dica si torna alle urne, perché c’è Mattarella e spetta solo a lui la decisione, dopo aver visto se c’è la possibilità di un altro governo. La forza di un governo nasce dalla stabilità….” A questo punto, il professore si sofferma sul Senato, così come è previsto dalla riforma: “La composizione mi disturba. 21 sindaci: ma mi chiedo cosa c’entrino con la camera delle regioni? E c’è confusione anche sui senatori a vita, per cui non temo la deriva autoritaria, ma la deriva confusionaria. Comunque credo che la discussione sia appena cominciata” Pasquino chiude parlando del Presidente della Repubblica, “Un punto che pochi hanno colto. In questi anni potremmo anche dire che i presidenti della repubblica hanno svolto ruoli aldilà delle aspettative e aldilà degli stessi articoli che disciplinano la loro figura. Un costituzionalista arrivò a dire che il ruolo definito dalla Costituzione è ambiguo. Gli ultimi Presidenti, in particolare Scalfaro e Napolitano, hanno svolto un ruolo molto importante, decisivo, qualcuno ha detto forse anche troppo. Io stesso– ha rivelato il politologo- ho detto a quest’ultimo che spesso è stato extra costituzionale, ma non anticostituzionale.” Pasquino spiega che “Nella riforma, grazie alla legge elettorale, il presidente si vede privato materialmente di due poteri: non nominerà più il presidente del consiglio, perché spetterà al capo dello schieramento premiato da un numero abbastanza consistente di seggi, e non avrà più il potere di dire che non intende sciogliere le camere ( ciò che disse Scalfaro a Berlusconi nel 1994 e Napolitano nel 2011 quando nacque il Governo Monti.) Qui sta lo squilibrio, non in altri passaggi. Da ultimo, non ho niente contro il rafforzamento del governo, anzi ritengo che un governo autorevole possa funzionare meglio dei governicchi, però vorrei fosse chiaro che ci sono modalità specifiche per rafforzare il governo…Calamandrei pensava a una Repubblica Presidenziale, ma oggi sappiamo che la Repubblica Presidenziale americana è tutto meno che forte, con Obama che traccheggia…. Se vogliamo un governo autorevole, dobbiamo cercare di tenere conto di alcuni elementi istituzionali. A me pare che la legge elettorale tedesca garantisca governi forti o forti quanto necessario. Nel passaggio dal primo al secondo turno delle amministrative ci sono stati apparentamenti, non previsti dall’italicum, e questo è controproducente. Le coalizioni hanno senso perché consentono di moderare, in quanto, secondo me, un partito può esser estremista, una coalizione no.”
Quello che vi ho offerto è un sunto dell’incontro cui ho partecipato; ho cercato di riportare, il più possibile le esatte parole degli intervenuti, evitando ogni interpretazione personale. Il mio scopo, e spero di esserci riuscito, è quello di dimostrare che solo dibattiti come questi, tra personalità davvero autorevoli, sono utili a costruire un’idea sull’oggetto del prossimo referendum. Ascoltare pareri opposti, sentire posizioni molto diverse che si confrontano, e sanno riconoscere ciò che di positivo c’è nell’altra, è il modo migliore e più serio per avvicinarsi ad un appuntamento così importante.
Non possiamo fare la fine degli Inglesi che, male informati, ora si trovano in una situazione problematica che non avevano certamente considerato.
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