Alla Bocconi l’accorato appello di Don Ciotti contro le mafie

Oggi è un giorno triste per il nostro Paese: ricorre, infatti, il ventiquattresimo anniversario della strage di Capaci nella quale, come molti ricorderanno, persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie e gli uomini della scorta.
Intendo celebrare questa ricorrenza, riportando quanto è stato detto in un evento, Mafie e corruzione in Lombardia. Quale contrasto dal mondo delle università e dell’impegno civile, riguardante proprio la lotta alla mafia e alla corruzione. Il dibattito si è svolto lo scorso 11 Maggio nell’aula magna dell’Università Bocconi. Due i relatori, Franco Roberti, procuratore nazionale antimafia, e Don Luigi Ciotti, presidente di Libera; moderatore Nando dalla Chiesa, professore all’Università degli Studi di Milano e presidente onorario di Libera.

Ha aperto i lavori il Rettore, professor Andrea Sironi, che ha spiegato come l’evento nasca da una “Convenzione firmata nel 2014 tra Libera e sette università milanesi per sensibilizzare gli studenti, che rappresentano la futura classe dirigente, sulla lotta alla mafia , problema non solo del Sud, ma anzi, oggi soprattutto del Nord ed in particolare di questa città (Milano nda), e del legame con la corruzione che coinvolge sia il settore pubblico che privato. Concretamente, l’accordo prevede che ogni anno ci sia un evento in ciascun ateneo; in precedenza è stato fatto alla Statale e oggi tocca a noi. “ Il Rettore ha terminato il suo saluto, sottolineando che “la Bocconi è impegnata in diversi modi, principalmente coi suoi docenti, ma anche dal punto di vista della ricerca, portando avanti progetti anche con la Banca d’Italia, perché è stretto il legame tra economia e criminalità organizzata. Da parte nostra, quindi, impegno e sensibilità verso questi temi che sono molto importanti…

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Nando dalla Chiesa ha spiegato che “l’incontro è importante, perché Roberti e Don Ciotti sono due espressioni molto alte dell’antimafia dello Stato e della società che si confrontano su temi, suggestioni e anche problemi di impostazione culturale …
Il moderatore, rivolgendosi a Roberti, esponente delle istituzioni nel suo ruolo di procuratore nazionale antimafia, ha chiesto “come la magistratura sta vivendo un momento ricco di successi, ma anche di ndifficoltà di rapporti non tanto con la politica, ma soprattutto con l’atteggiamento dell’opinione pubblica. Bisogna ricordare che ci sono stati successi perché di strada ne è stata fatta… ma non ovunque nello stesso modo in Italia: come mai?

Roberti ha iniziato il suo primo intervento illustrando come “al Nord la mafia calabrese si è radicata con una serie di processi, già negli anni Sessanta, con la migrazione che ha portato intere famiglie a trapiantarsi in questa parte della Penisola. Decisiva è stata la forza del denaro e della imprenditorialità. Una volta arrivate qui, hanno agito per ciò che sono, organizzazioni mafiose, avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo. Sono mafie silenti, perché non uccidono e non gambizzano (l’ultimo omicidio imputabile alla ndrangheta qui a Milano risale infatti al 2008!). Eppure si sono insediate con la forza dei soldi, riciclando denaro e attraverso l’usura e l’esercizio abusivo del credito…Si sono insediati con la forza della corruzione: è stata accertata una serie gravissima di episodi che ha visto coinvolti imprenditori, politici e anche un giudice. Lo stesso voto di scambio non è altro che una forma di corruzione tra un politico e un mafioso, dove il primo assicura denaro e altri vantaggi al secondo che gli garantisce consenso elettorale. ..Nonostante indubbi successi, come condanne e sequestro di beni, il fenomeno c’è ancora.” Il procuratore ha fatto, quindi, un accorato appello, sostenendo che “serve l’intervento dello Stato in tutte le sue articolazioni che recuperi il terreno che abbiamo lasciato alle organizzazioni criminali soprattutto al Sud. Se, infatti, possono ancora farla da padrona a Napoli e avere ruoli anche al Nord, vuol dire che qualcosa non funziona a livello sociale, politico e culturale.
Roberti ha, in seguito, chiarito cosa non funziona, soprattutto “questa disponibilità di tanti soggetti a entrare in rapporti di reciproca convenienza con le organizzazioni mafiose. Non funziona il fatto che gli imprenditori vadano a cercare i mafiosi per farsi finanziare e per farsi sostenere anche a livello imprenditoriale. Non funziona- rincara la dose- che i politici facciano accordi basati sul voto di scambio con i mafiosi. Non funziona che uomini delle istituzioni, anche magistrati ed esponenti delle forze dell’ordine, siano compiacenti.
Il procuratore ha terminato il suo primo intervento sostenendo che “la vera forza delle mafie, infatti, sta fuori, come dice sempre Don Ciotti, sta nella capacità di relazionarsi con gli altri mondi, imprenditoriale e politico in particolare. Non so dare indicazioni operative, ma intanto cominciamo a renderci conto che il problema è questo, non tanto l’azione di contrasto, per quanto anche quella potrebbe essere migliorata. Bisogna comunque fare i conti con la realtà: c’è un enorme problema politico che viene sottovalutato. Lo vedo anche nei giudizi che si danno sulla camorra. Quando si parla di camorra, ma anche delle altre mafie, il giudizio oscilla, infatti, tra chi dice che – Questa è Napoli e non c’è nulla da fare- come disse un ministro, e chi dice -.. Siamo un grande paese …stiamo rilanciando economia…- Questo è paralizzante, perché non si fa niente per risolvere il problema principale, i rapporti tra le mafie e la società civile.

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Dalla Chiesa si è detto d’accordo con quanto affermato da Roberti, aggiungendo, però, che “c’è un senso di sfiducia quando la gente vede che non arrivano le condanne. Non è questo un elemento che scoraggia le persone a partecipare?
Il procuratore ha risposto dichiarando effettivamente che “se le istituzioni funzionano e dimostrano di voler fare sul serio contro le mafie, allora i cittadini acquistano fiducia. Ricordiamo la frase di Falcone la mafia si può vincere non pretendendo l’eroismo dagli inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni, dopodiché anche la collaborazione verrà. Lo Stato deve meritarsi la fiducia dei cittadini, ma è vero che l’intervento giudiziario non sempre è stato all’altezza… Purtroppo anche le forze di polizia hanno avuto bisogno di una sorta di preparazione per fronteggiare adeguatamente le mafie al Nord. Per avviare l’indagine che ha portato al processo Aemilia c’è stato bisogno di inserire professionalità che non c’erano per indagare adeguatamente. Allora anche questo fa parte della sfida: attrezzare gli uffici a rispondere in modo efficace, efficiente e tempestivo.

A questo punto il moderatore ha interpellato l’altro relatore, Don Ciotti, sul rapporto tra zone della società civile e le organizzazioni mafiose. “Il 2010 ha rappresentato uno spartiacque, sia per il processo Infinto (contro la n’drangheta calabrese e le collegate cosche milanesi con arresto di 154 persone nda) sia perché Libera in quell’anno diede uno scossone alla Lombardia con la manifestazione annuale del 21 Marzo con quelle 150 mila persone in piazza Duomo assolutamente inaspettate.
Don Ciotti parte proprio dall’evento citato dal moderatore: “In 150mila abbiamo camminato insieme per dire da che parte si sta ed è importante dirlo mettendoci la faccia, con forza e con passione.

milano 2010 libera




Il fondatore di Libera passa poi a parlare del Piemonte: “Nel 2008 la commissione antimafia pubblicò una relazione sulla n’drangheta in cui si confermava il radicamento in regione, con l’appoggio di importanti politici e si denunciava un deficit di sensibilità rispetto a questo problema. Siamo nel 2008 a Torino, dove nel 1983 era stato ucciso il procuratore della Repubblica, Bruno Caccia, nel 1982 ad Aosta, era saltata in aria la macchina del pretore, Selis, salvo per miracolo. Non si può, perciò, dire che non ci fossero stati segnali, ma molta sottovalutazione sì! Grazie a Dio, poi, partì l’operazione Minotauro che consegnò, invece, la fotografia della presenza mafiosa. Ci sono delle sottovalutazioni, dettate molte volte dall’ignoranza e dal pensare che il problema riguardi sempre altri….Inquietante toccare con mano la superficialità di persone che hanno negato il rapporto della commissione antimafia, hanno reagito a quella sollecitazione. La storia ci ha consegnato la gravità di quel percorso, ma vi devo anche dire che dopo le stragi del 1992 (Capaci e via d’Amelio nda) proprio a Torino nasce Narcomafie (mensile edita dal gruppo Abele, realizzata in collaborazione con Libera per analizzare e documentare il fenomeno della mafia nel narcotraffico nda). E sarà un procuratore della repubblica di Torino, Giancarlo Caselli, che presenterà domanda per andare a Palermo a reggere quella Procura proprio dopo quelle stragi. E sarà dal Nord di questo Paese con grande rispetto delle realtà del Sud, anzi con grande stima e con grande affetto per non lasciarle sole dopo quelle stragi, che nasce Libera…” Don Ciotti evidenzia la “consapevolezza che le mafie hanno le loro radici storiche certamente al Sud, ma gli affari li hanno sempre fatti al Nord”. A sostegno della sua affermazione, ha ricordato quanto ebbe a dire Don Sturzo la mafia ha i piedi in Sicilia, ma la testa forse a Roma” e la sua drammatica profezia quando disse“ diventerà più crudele e disumana, dalla Sicilia risalirà l’intera penisola per portarsi anche aldilà delle Alpi.” Il fondatore di Libera ha continuato dicendo che: “amo sempre fare un rapporto diretto con la democrazia che, come mi insegnate, si fonda su due grandi doni: la giustizia e la dignità umana. La democrazia non starà mai in piedi se non c’è una terza gamba che la sorregge, la responsabilità, che chiediamo alla politica e alle istituzioni. C’è, però, una parte di responsabilità che tocca a ciascuno di noi… In questo luogo voglio dire che la conoscenza è la strada maestra del cambiamento: bisogna conoscere per diventare responsabili. Quando sento letture delle mafie datate o sottovalutazioni del fenomeno, capisco ancora di più il dovere di conoscere e far conoscere, di fare ricerca seriamente. Vedo la meraviglia che troviamo in tanti ragazzi, perché non sono temi facili. Non avremmo mai pensato che una marea di facoltà si sarebbero messe insieme, firmando un protocollo per essere motore del cambiamento. Questo perché la cultura dà la sveglia alle coscienze e bisogna fare uno scatto, perché ci sono troppe risposte emotive. Mi sembra che la velocità delle mafie sia più forte. Le due anime sono responsabilità e conoscenza per questo abbiamo cercato di lavorare con le scuole.Don Ciotti ha sottolineato che “ci vogliono tre parole chiave da tradurre concretamente: continuità da dare a tutti questi percorsi; condivisione, perché si diventa una forza se ci mettiamo di più insieme,ciascuno col proprio ruolo, e corresponsabilità , cioè disponibilità a collaborare con le istituzioni e fare da pungolo se non fanno quello che devono fino in fondo.
Il fondatore di Libera ha chiuso il suo primo intervento dicendo di trovare “ tre atteggiamenti nel mondo giovanile: conformismo in chi dice che fan tutti così; sfiducia e a volte depressione in ragazzi che ci dicono di avere fatto ottime ricerche, ma sono anni che cerco lavoro e non lo trovo, ma anche ribellione (e credo sia un segnale bello, perché la ribellione è creativa), in quanti dicono cerchiamo dei punti di riferimento per metterci in gioco e per portare il nostro contributo al cambiamento…”




Ha ripreso poi la parola Dalla Chiesa che ha chiesto al procuratore: “Qual è la sensazione che si prova, a distanza di vent’anni, nel vedere che molto si è dato in termini di impegno nelle scuole con l’idea che da lì si deve partire e poi trovare una società che non è cresciuta nella stessa misura?”
Roberti ringrazia per la domanda che gli consente di” approfondire il concetto di legalità, di cui tutti parlano. Nelle scuole abbiamo detto che il concetto di legalità deve essere rapportato a quelli di giustizia e diritto, che è l’applicazione delle norme al caso concreto e implica il rispetto dei principi costituzionali.”
Il procuratore confessa con amarezza che “I discorsi che abbiamo fatto non hanno trovato un riflesso nella cultura; difficilmente ho sentito un discorso serio sulla giustizia, comprendendo anche la giustizia sociale, la pari dignità… , perché il concetto di giustizia è molto ampio, e di giustizia sociale c’è bisogno, perché le mafie vivono e si ingrassano grazie alle disuguaglianze sociali. Il più grande regalo che possiamo aver fatto loro è non superare le disuguaglianze, perché così fanno affari con i ricchi senza scrupoli e reclutano la manovalanza criminale nelle file dei disperati e rassegnati. Sfruttano, poi, le disuguaglianze normative andando a mettere i soldi sporchi nei paradisi fiscali, dove non c’è normativa o non viene rispettata, dove non c’è collaborazione nella cooperazione internazionale. Quindi, il fenomeno delle disuguaglianze è alla base del fenomeno mafioso, perché se quelle non vengono superate, se non c’è un controllo più severo sulla distribuzione della ricchezza, la mafia continuerà ad esistere, anzi noi vediamo che la ndrangheta si è già allargata a livello internazionale, attraverso meccanismi corruttivi e collusivi e sfruttando l’assenza di controllo. Legalità è scrivere chiare e buone leggi e far capire, soprattutto ai giovani, che rispettare le leggi e più conveniente che infrangerle. Bisogna organizzare le istituzioni in funzione dei cittadini e di una maggiore uguaglianza, perché solo così si raggiunge la pari dignità sociale. Sarà decisivo che lo Stato metta in campo tutte le risorse per sconfiggere mafie.
E si può fare, ma bisogna convincersi della necessità di attuare questi principi”.

Su invito di Dalla Chiesa, Roberti ha quindi parlato del suo rifiuto a partecipare a Porta a Porta “Quando ci andò il figlio di Riina, mi chiamò mia moglie indignata, segnalandomi la cosa. Allora capii che l’invito per il giorno dopo era di tipo riparatore; chiamai Vespa seduta stante…e mi rifiutai di fare sponda a una avvilente strategia che sembrava mettere sullo stesso piano il capo di Cosa Nostra e i magistrati, voglio credere involontariamente…”
Don Ciotti rivela, da parte sua che “la trasmissione di Vespa aveva cercato più volte anche me , dicendo che avrebbero discusso dei beni confiscati e che ci sarebbe stata una sorpresa. Devo dire che ho sempre rifiutato quel tipo di trasmissione… Non dimentico quando Marrazzo (giornalista noto per le numerose inchieste su temi sociali, in particolare su mafia e camorra nda) intervistò Cutulo che uscì schiacciato dal grande giornalista che fece gli chiedeva conto della violenza e dei morti, come ricordo le interviste di Biagi, dalle quali i mafiosi uscivano piccoli così. Il problema, quindi, è anche di chi gestisce questi argomenti. Così quando ho sentito il racconto di vita famigliare con la figura del padre,( Totò Riina!) descritta in termini affettuosi, non ho potuto fare a meno di pensare che non fosse possibile che quel ritratto di padre andasse ad oscurare il boss che ha mandato a morte tante persone e distrutto altrettante famiglie, perché nel mio cuore ho pensato ai famigliari, alcuni oggi qui in sala, a cui quegli affetti lui erano stati brutalmente strappati proprio da lui… Ma come si fa a presentare la richiesta di pubblicazione del libro di Salvo Riina alla casa editrice di Nando dalla Chiesa? Vi rendete conto che sono quelli che hanno ucciso suo padre? Come è possibile che si sia arrivati a questo punto?

vespa riina junior

Don Ciotti ha aggiunto due cose per lui molto importanti: “Per piacere non facciamo della legalità un idolo, perché c’è questo rischio, che diventi oggi, dopo tanti anni, uno strumento non di giustizia, ma di potere. In questi vent’anni, in cui abbiamo costruito dei percorsi nelle scuole e non solo, ce l’abbiamo messa tutta per far conoscere, per fornire elementi di lettura, per scuotere le coscienze. Ma dall’altra parte c’è chi si è nascosto dietro la parola legalità e, come ha detto giustamente il procuratore, non c’è legalità senza uguaglianza. Ho paura di questa legalità che si fa bandiera di tutto e credo che con la scuola, con grande rispetto e forza, dobbiamo ridefinire le coordinate del percorso educativo…Parlare di legalità non basta più, perché prima ci sta la responsabilità e, quindi, la legalità è proprio la saldatura tra la responsabilità, che chiama in gioco il nostro io, e la giustizia che è in noi. C’è tanta confusione tra giustizia e legalità a volte: sarebbe sbagliato vedere nelle regole un fine, perché la legalità è un prerequisito per raggiungere quell’obiettivo, un mezzo importante e fondamentale nella vita sociale per promuovere il pieno sviluppo della persona umana, ma anche delle condizioni che la circondano. Tocca alla giustizia la realizzazione dell’uguaglianza dei diritti, della richiesta di assunzione delle proprie responsabilità, dei servizi e delle politiche fatte in un certo modo… Abbiamo detto più volte che l’antimafia è una parola che ci hanno rubato ed è stata svuotata del suo vero significato, perché è un problema di responsabilità e coscienza, non una carta d’identità da tirare fuori a seconda delle circostanze.
A questo punto il fondatore di Libera sente la necessità di puntualizzare “che la nostra realtà è costituita da 1600 associazioni di mondi diversi e qualcuno ha espresso giudizi molto negativi ( articoli su Panorama, nda) definendo pericolosa la gestione dei beni confiscati… Possiamo non esser perfetti, ma siamo puliti! …Tutte queste associazioni rappresentano il volto di un’Italia che non si limita a constatare ciò che non va, ma si mette in gioco per farlo andare.Don Ciotti ricorda come ebbe inizio la sua associazione: ”Quando nasce Libera, dopo le stragi, c’era una legge che funzionava poco…Noi abbiamo avuto il coraggio di affermare che il problema mafia riguardava tutta l’Italia: ecco allora che si è costruita faticosamente una rete nazionale e oggi Libera la trovate anche in tante altre Nazioni con la meraviglia di tanti ragazzi che si uniscono… E’ cominciata con la vicinanza ai famigliari duramente colpiti da lutti di stampo mafioso, che abbiamo aiutato a trasformare quel dolore in impegno e testimonianza. Li abbiamo scovati, molti ripiegati su sé stessi, perché diventassero una presenza e perché credevamo che il sogno di Pio La Torre dovesse diventare realtà con quel milione di firme raccolte nel 1996 in tutta Italia per chiedere la modifica di quella legge, per fare un passo in avanti con una grande aggiunta, l’uso sociale di questi beni…”

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A questo punto il fondatore di Libera torna ad attaccare Panorama (“ha fatto tre numeri su di noi!”) “Quando si scrive che il patrimonio di Libera è di trenta miliardi di lire, attribuendoci questo potere di gestione totale, bisogna ricordare che Libera possiede solo nove beni che sono delle sedi, piccole tra l’altro. Le cooperative le abbiamo fatte partire e le abbiamo aiutate, ma ora devono camminare con le loro gambe. Noi facciamo la formazione e lavoriamo sui territori, anche nelle prefetture, dove ci viene chiesto.”
Don Ciotti si è, quindi, rivolto alla classe politica esprimendo l’augurio che “le riforme, che ci hanno visto portare dei contributi, possano passare in fretta.” Ha voluto tornare sugli attacchi subiti, rivelando che “abbiamo dovuto denunciare, chiedere giustizia perché abbiamo atteso scuse che non sono arrivate… non è possibile umiliare una realtà che è pulita e viene sporcata da chi tira fango. Vi posso dire per chiarezza che ci sono personaggi, mafiosi o mescolati con loro, anche politici, legati alla massoneria, che comprano testate, gestiscono siti, sono azionisti di televisioni. E mi chiedo com’è possibile che alcuni di loro siedano in commissione antimafia e siano senatori. Vi prego di credere che spenderò fino all’ultimo respiro della mia vita per permettere che chiunque dimostri la sua verità, per tutelarlo, per garantire un percorso di giustizia e democrazia. Quando, però, ci sono reati pesanti, bisogna che altri facciano la loro parte per permettere la ricerca della verità, per non inquinare. E, invece, arrivano il fango e le semplificazioni… Ma è pur vero che in un processo è già arrivata la condanna per calunnia e diffamazione.

Roberti, a questo punto, ha ricordato la risposta che Falcone diede alla domanda sul perché continuasse sapendo che sarebbe stato colpito :“Per spirito di servizio” senza aggiungere altro. “Anche questo è legalità: fare fino in fondo proprio dovere. Se ne parla anche nell’articolo 54 della Costituzione con disciplina e onore, termini che non si usano più, ma lì sono presenti. Lo spirito di servizio di Falcone dovrebbe rappresentare un modello, la responsabilità che fa muovere le cose nel verso giusto. Questo atteggiamento deve apporsi con estrema determinazione nella lotta alle mafie, senza curarsi delle conseguenze. Diceva Falcone che ciò conta sono le idee che possano camminare sulle gambe di altri uomini. Questo senso di responsabilità è ciò che ci è stato consegnato dai grandi uomini che si sono immolati, sapendo di rischiare la vita. Ricordiamo l’unico magistrato che non si è allontanato dal suo luogo di lavoro, sebbene sapesse con certezza ciò che lo aspettava, Paolo Borsellino. Ha continuato a fare il suo dovere proprio per spirito di servizio.

Da ultimo, Dalla Chiesa ha chiesto a Don Ciottise non ha la sensazione di avere costruito qualcosa che si sta facendo Stato”. “Ho una speranza, che mi ha accompagnato negli anni con tutti miei limiti e fragilità: continuare insieme a tanti a impegnarci per dare speranza a chi l’ha perduta e assumerci il ruolo di cittadini responsabili non a intermittenza, portando il nostro contributo, perché il cambiamento ha bisogno di ciascuno di noi… Il bene si costruisce con l’inclusione e per la lotta alle mafie e alla corruzione c’è bisogno di leggi giuste e degli interventi di chi ha il ruolo giusto, ma è necessario che ci sia un cambiamento che deve venire ancora di più dal basso. Non può venire, però, se prima ancora non viene da dentro, dentro le nostre coscienze e passioni… E’ importante collaborare con le istituzioni dello Stato nel rispetto delle diverse competenze; a me è stato chiesto di partecipare in tutte le scuole dei carabinieri e l’ho fatto volentieri per portare la conoscenza di un’esperienza diversa…..Sono ancora più convinto che dobbiamo incrementare le nostre energie nel mondo della scuola e dell’università, ciascuno con le sue competenze. Quei protocolli che abbiamo firmato non sono solo delle firme sulla carta, ma sono diventate realtà, le migliaia di scuole che fanno di percorsi vanno aiutate affinché non diventino l’idolo del progettificio.
Si deve voltare pagina tutti in questo Paese, anche in questo Nord che per anni ha sottovalutato il problema della presenza sul suo territorio della mafia (ricordo che a Cortina ci sono dei beni confiscati!). E’ giunto il momento per il Nord di interrogarsi e prendere coscienza del problema. Noi ci stiamo battendo perché la memoria di Falcone e di tutti gli altri non si perda per strada. Ragazzi tocca a noi adulti con voi insieme: apriamo una pagina nuova, perché questo tran tran a fianco delle cose belle e positive che sono state fatte ha bisogno di uno scatto ancora più decisivo!”

Rispondendo ad alcune domande del pubblico, Roberti è tornato a sottolineare l’importanza di creare lavoro per contrastare le mafie. La crisi economica ha rappresentato un’opportunità per la criminalità organizzata, perché tanti imprenditori, che non riuscivano ad aver accesso al credito, si sono rivolti ai mafiosi per esser finanziati e questi li hanno concessi per poter entrare nell’economia legale, mimetizzandosi e portando soldi sporchi. Tutto questo crea una promiscuità devastante per gli assetti democratici del paese e che non fa altro che aggravare le disuguaglianze sociali. La corruzione crea disparità tra le imprese, danneggiando quelle che non cedono…..Se ne sta accorgendo anche l’Unione Europea, anche se, per ora, soltanto a livello di affermazione con la risoluzione del Parlamento Europeo che parla di corruzione, riciclaggio e mafia come aspetto di un solo problema.
Don Ciotti si collega alle parole del procuratore, sostenendo che “è indubbio, povertà , disuguaglianze e marginalità sono serbatoi all’espansione delle mafie. Diventa importante leggere l’ultimo rapporto ISTAT da cui emergono livelli inaccettabili di povertà e disuguaglianza”. Ribadisce, in tono deciso, che “la mafia si alimenta di tutto ciò e recluta le manovalanze. Libera ha firmato protocolli col Ministero della Giustizia per accompagnare ragazzi che hanno sbagliato e che si assumono le loro responsabilità….
L’altro dato è la povertà culturale. Nonostante l’impegno dei governi degli ultimi anni che hanno ridotto la dispersione scolastica, ciò che si fa è ancora insufficiente perché restiamo agli ultimi posti in Europa. Quali spazi ci sono per i ragazzi che abbandonano la scuola nei primi anni delle superiori? Chi si occupa di loro? Se si vanno a vedere gli investimenti per la cultura, si nota che l’Italia è all’ultimo posto, nonostante qualche miglioramento. E meno formazione significa più disuguaglianza
”.
Don Ciotti ha parlato, infine, di un altro dato che gli sta a cuore, “la povertà delle relazioni e la conseguente solitudine che è cresciuta a tutte le età e dilata la sofferenza delle persone. Viviamo accanto, ma non insieme. Nel 1984 qui a Milano il cardinale Martini spiazzò tutti citando tre pesti: la solitudine, la violenza e la corruzione, in anticipo rispetto a Mani Pulite.
C’è un mondo che fa fatica, c’è un’ alta percentuale di disoccupati disposti a tutto…. Bisogna operare sulle politiche sociali per risolvere il problema di molte aziende, scatole vuote usate per riciclare denaro e che non si misurano sul mercato perché operano in nero. Libera sta lavorando con tutte le associazioni per portare un contributo.
Dobbiamo darci una mano tutti, ognuno con la propria competenza, con umiltà, aiutandoci per dire basta a mafie e corruzione!”

Sono consapevole di avere abusato del vostro tempo e della vostra pazienza se avrete letto con attenzione quanto ho scritto, ma sono stato spinto a fare una così ampia relazione dell’evento, non solo per il mio interesse per certi argomenti, ma anche per la delusione di non averne trovato cenno sulla stampa (almeno sulle pagine che giornalmente leggo). Mentre dell’incontro con Gianni Morandi, svoltosi il giorno prima sempre in Bocconi, ho potuto leggere un simpatico resoconto, di questo nulla. Solo un boxino che lo annunciava.
Nessun intento polemico, solo un’amara constatazione e una toppa a chiudere un vuoto nell’informazione.