Oggi, 25 Aprile, celebriamo la festa della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo. Voglio ricordare questa importante ricorrenza, servendomi di un evento, Resistenza vissuta e resistenza raccontata, organizzato, lo scorso anno, dalla Fondazione Corriere della Sera, appunto in tale occasione. La particolarità del tema, la guerra e la resistenza nelle pagine di Beppe Fenoglio (uno degli scrittori che più si è occupato di questo argomento), lo spessore dei relatori (Aldo Grasso, famoso giornalista dello storico quotidiano milanese che, mi piace ricordarlo, in questo 2016 festeggia i 140 anni dalla fondazione, e Gabriele Pedullà, docente universitario, profondo conoscitore di Fenoglio) hanno avuto il merito di far ricordare senza retorica quegli anni e far riflettere “sull’ intensità di valori che se la si paragona alle miserie che vediamo attorno ci lascia sbalorditi” (Marchetti, presidente della Fondazione Corriere della Sera).
“Quando una vicenda lascia una così profonda traccia e stimola una letteratura di così alto livello vuol dire che è stato qualcosa di sentito e di profondo” ha affermato ancora Marchetti.
Grasso ha cominciato il suo intervento ricordando “una delle pagine più belle del libro, pubblicato postumo nel 1963, Questione privata, ambientato nelle Langhe sopra Alba. I protagonisti del romanzo sono due giovani, Fulvia e il giovane partigiano Milton: lei è disinvolta, mentre lui è molto timido, si muove con rozzezza ed è piuttosto impacciato. Nella pagina che ho scelto, Fulvia fa partire un disco, invitando Milton a ballare: la canzone è “Over the rainbow ” e non a caso! La scelta è significativa, perché fa capire come i giovani allora cercassero nel mondo americano nuovi stimoli”.
“Il romanzo tratta proprio di una questione privata, perché si narra di una bellissima storia d’amore che diventa anche la storia di una sconfitta: le belle ragazze amano gli intellettuali, ma sposano gli imprenditori.
E la guerra partigiana viene raccontata in modo mirabile, proprio attraverso il filtro della storia d’amore. Non viene, così, presa di petto e, quindi, è evitata la retorica con la tipica enfasi che spesso accompagna questi racconti.”
Grasso sottolinea che “ non si tratta solo di una sconfitta d’amore, ma anche della sconfitta del libro stesso che fu accolto male dalla stampa comunista con attacchi da parte del direttore de L’Unità di Milano”.
Per quanto riguarda il rapporto con la televisione, il critico ricorda che “ci sono state ben quattro trasposizioni televisive, risultate, tuttavia, tutte deludenti, perché è difficile cogliere con le immagini la complessità del romanzo. L’unico regista che avrebbe potuto dare un senso alla trasposizione su schermo, sarebbe potuto essere John Ford.”
Pedullà ha voluto aggiungere, frutto della sua esperienza di docente, che “questo libro è quello che parla di più agli studenti, in quanto moltiplicatore del tema romantico con una tensione intellettuale fortissima”.
Il professore è passato, quindi, a parlare di un’altra opera di Fenoglio, I ventitré giorni della città di Alba (1952), definita “un grande ciclo”. Si tratta, infatti, di una raccolta di dodici racconti, sei dedicati a episodi della guerra partigiana, sei che descrivono la vita contadina durante e subito dopo la guerra.
“Raccontare questa storia, ossia la guerra civile,– spiega il docente- subito dopo che era successa, cioè già nel dopoguerra, non era affatto facile.
Fenoglio avrebbe voluto chiamare il libro “Racconti della guerra civile”, ma la casa editrice glielo vietò, perché non si voleva ancora ammettere che quella appena conclusa era stata anche guerra tra italiani. E su questo divieto si trovarono d’accordo sia i comunisti che i democristiani, mentre gli appartenenti al Partito d’Azione erano a favore dell’uso del termine guerra civile, come discontinuità radicale, e così ovviamente gli ex fascisti.”
(Pedullà ha ricordato come, tra le figure di intellettuali dell’epoca, sia da segnalare quella di Caproni che si distinse per aver affermato che si uccise anche tra italiani.)
Tornando a parlare di Fenoglio, Pedullà ha affermato che “l’antifascismo piemontese ha una storia molto radicata e il luogo dove sono diventate esemplari quelle storie è proprio il Piemonte“.
A questo proposito, è intervenuto Grasso con una rivelazione: “Porto un nome resistenziale, in quanto mia mamma mi ha spiegato che all’epoca si usava nelle campagne lasciar sceglier al padrino e il mio era appena arrivato dalla lotta partigiana.”
Il critico chiude l’evento segnalando un’altra opera di Fenoglio, “La paga del sabato“, scritto alla fine degli anni quaranta ma pubblicato postumo nel 1969. Altro gioiello dell’autore, definito addirittura “il libro più bello sull’immediato dopoguerra, perché parla del dramma del ritorno alla normalità, vissuto come momento esaltante… anche se poi improvvisamente tutto ritorna come prima”.
Forse qualcuno si chiederà: “Ma come, tutto qui? Perché non hai scritto della guerra, della resistenza, delle lotte partigiane..?”
Per questo, potete aprire un libro più o meno strapazzato del liceo, o leggervi le pagine di un qualsiasi quotidiano di oggi o, se preferite, seguire un servizio al TG…
Io vi ho suggerito un modo diverso di conoscere quegli anni, perché penso sia importante, anche a distanza di tanto tempo, continuare a informarsi e documentarsi su eventi della nostra storia nazionale che ancora destano attriti e divisioni.
E se si riesce a farlo attraverso pagine ben scritte, che ti entrano dentro e ti aiutano a capire, non può che far bene a noi stessi, prima di tutto, ma anche al mondo cui apparteniamo.
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