Trent’anni senza Siani: storia del giornalista anti camorra

Oggi è un giorno triste per Napoli e per l’Italia: ricorre, infatti, il trentesimo anniversario dell’omicidio di Giancarlo Siani, giornalista che osò sfidare la camorra. Doveroso ricordarlo oggi, ma anche durante tutto l’anno, non solo a parole ma soprattutto impegnandoci secondo le possibilità di ciascuno di noi per denunciare i comportamenti contrari alla legalità. Importante, inoltre, difendere i tanti giornalisti minacciati dalle mafie anche nella nostra Italia, pur non arrivando ai numeri di altre nazioni.

Nato nel capoluogo campano nel 1959, Siani si interessò soprattutto alla cronaca nera e, quindi, alla camorra, attraverso lo studio e l’analisi dei rapporti e delle gerarchie delle famiglie camorristiche che avevano il controllo su Torre Annunziata e dintorni. In questo periodo cominciò la collaborazione con l’Osservatorio sulla Camorra, periodico diretto dal sociologo Amato Lamberti. Anche se lavorava come corrispondente, Siani frequentava spesso la redazione di Castellamare di Stabia: sognava di ottenere il contratto da praticante giornalista professionista per poi poter dare l’esame e diventare giornalista professionista.

Lavorando per Il Mattino, Siani approfondì in modo notevole la conoscenza della camorra, dei boss locali e dei rapporti tra politica e mafia napoletana, individuando molte connivenze, sorte in modo stabile dopo terremoto tra esponenti politici e il boss locale, Valentino Gionta, che, da pescivendolo ambulante, aveva generato un business partendo dal contrabbando di sigarette, passando, poi, al traffico di stupefacenti, col controllo dell’intero mercato di droga nell’area torrese-stabiese.

Le forti denunce del giovane giornalista lo portarono ad essere regolarizzato nella posizione di corrispondente dal quotidiano nell’arco di un anno. Le inchieste di Siani andarono sempre più in profondità, fino a trovare la moneta con cui i boss mafiosi producevano affari. Il giornalista attraverso un suo articolo accusò il clan Nuvoletta, alleato dei Corleonesi di Totò Riina, e il clan Bardellino, esponenti della “Nuova Famiglia”, di voler spodestare e consegnare alla polizia il boss Valentino Gionta, ritenuto pericoloso, scomodo e prepotente, per concludere la guerra tra famiglie. Ma le rivelazioni, avute da Giancarlo grazie ad un suo amico carabiniere e pubblicate il 10 giugno 1985, portarono la camorra a prendere la decisione di eliminare lo scomodo giornalista.

In quell’articolo Siani rivelò che per l’arresto del boss Valentino Gionta fu decisiva una “soffiata” che esponenti del clan Nuvoletta fecero ai carabinieri. Secondo quanto rivelato in seguito dai collaboratori di giustizia, l’arresto di Gionta fu il prezzo che i Nuvoletta pagarono al boss Antonio Bardellino per avere da lui un patto di non belligeranza. La pubblicazione dell’articolo provocò le ire dei fratelli Nuvoletta che, agli occhi degli altri boss partenopei e di Cosa Nostra, avevano fatto la figura degli “infami“, cioè di coloro che, violando il codice degli uomini d’onore della mafia, avevano rapporti con le forze di polizia.

Da quel momento i capo-clan Lorenzo ed Angelo Nuvoletta si riunirono più volte per scegliere in che modo eliminare Siani e a ferragosto del 1985 la camorra prese la decisione di ammazzarlo, lontano da Torre Annunziata per deviare le indagini. Prima di venire ucciso, Siani stava lavorando incessantemente alle sue inchieste e avrebbe pubblicato un libro sui rapporti tra politica e camorra negli appalti per la ricostruzione post-terremoto.

editorpress.it
editorpress.it

Il 15 aprile del 1997 la seconda sezione della corte d’assise di Napoli condannò all’ergastolo i mandanti dell’omicidio e i suoi esecutori materiali e in quella stessa condanna viene citato, come mandante, anche il boss Valentino Gionta. La sentenza è stata confermata dalla Corte di Cassazione, che però stabilì per Valentino Gionta il rinvio ad altra Corte di Assise di Appello: si è svolto un secondo processo di appello che il 29 settembre del 2003 l’ha di nuovo condannato all’ergastolo, mentre il giudizio definitivo della Cassazione lo ha definitivamente scagionato per non aver commesso il fatto.

Nel 2014 un libro-inchiesta del giornalista napoletano Roberto Paolo ha avanzato dubbi sui reali esecutori dell’omicidio, segnalando nomi di altri mandanti ed esecutori. Sulla base di queste rivelazioni, l’allora coordinatore della Direzione antimafia della Procura di Napoli, Giovanni Melillo, ha riaperto le indagini sull’omicidio Siani: il fascicolo è affidato ai sostituti procuratori Enrica Parascandolo e Henry John Woodcock. Il fatto che trent’anni dopo ancora non si sia fatto piena giustizia è molto grave e l’auspicio che presto emerga la verità.