Dalla Chiesa: un anniversario che non aveva bisogno di polemiche

Oggi è un giorno triste per la Sicilia e, più in generale, per tutta l’Italia. Ricorre, infatti, l’anniversario dell’omicidio del generale Dalla Chiesa, ammazzato barbaramente da cosa nostra il 3 settembre del 1982. Dalla Chiesa è stato uno dei tanti uomini che hanno dato la vita per combattere la mafia e il suo sacrificio non va mai dimenticato, nonostante siano ormai passati tanti anni.

La sua carriera fu molto lunga e ricca di prestigiosi incarichi, ricoperti sempre con grande senso del dovere e dello Stato. Qui preme ricordare, in particolare, l’ultima parte quando nel 1982 tornò in Sicilia come prefetto di Palermo su decisione del Consiglio dei Ministri. Egli reagì con un po’ di perplessità ma il ministro Rognoni lo convinse con la promessa di poteri straordinari per combattere la mafia.

Eppure, Dalla Chiesa notò con molto rammarico più volte la carenza di aiuto da parte dello Stato, emblematiche queste parole: “Mi mandano in una realtà come Palermo, con gli stessi poteri del prefetto di Forlì.”

Da ricordare anche una parte di un’intervista  a Giorgio Bocca, in cui il Generale manifestò per l’ennesima volta il suo rammarico per la mancanza di sostegno e di mezzi, indispensabili per la lotta alla mafia, che secondo i suoi piani andava combattuta strada per strada, rendendo chiara alla criminalità la notevole presenza di forze dell’ordine.

« Oggi mi colpisce il policentrismo della Mafia, anche in Sicilia e questa è davvero una svolta storica. È finita la Mafia geograficamente definita della Sicilia occidentale. Oggi la Mafia è forte anche a Catania, anzi da Catania viene alla conquista di Palermo. Con il consenso della Mafia palermitana, le quattro maggiori imprese edili catanesi oggi lavorano a Palermo. Lei crede che potrebbero farlo se dietro non ci fosse una nuova mappa del potere mafioso? »

Queste parole pesanti diedero vita a un’aspra polemica col presidente della Regione Sicilia, Mario D’Acquisto, che esortò il prefetto a dare una spiegazione pubblica del contenuto delle sue frasi.

Nel luglio dello stesso anno Dalla Chiesa predispose che il cosiddetto “rapporto dei 162” venisse trasmesso alla Procura di Palermo: questo rapporto portava la «firma congiunta» di polizia e carabinieri e rappresentava l’organigramma delle Famiglie mafiose palermitane tramite dettagliate indagini.

A fine agosto per la prima volta, con una telefonata anonima fatta ai carabinieri del capoluogo siciliano, fu annunciato l’attentato al Generale, affermando che, dopo gli ultimi omicidi di mafia, «l’operazione Carlo Alberto è quasi conclusa, dico quasi conclusa»

Alle ore 21.15 del 3 settembre la A112 bianca a bordo della quale viaggiava il Prefetto fu affiancata in una via di Palermo da una BMW, da cui partirono alcune raffiche di Kalashnikov, che ammazzarono Dalla Chiesa e la moglie.

Per questo atto gravissimo sono stati condannati all’ergastolo come mandanti i vertici di Cosa Nostra, ossia i boss Totò Riina, Bernardo Provenzano e altri due. Nella stessa sentenza si legge:

“Si può, senz’altro, convenire con chi sostiene che persistano ampie zone d’ombra, concernenti sia le modalità con le quali il generale è stato mandato in Sicilia a fronteggiare il fenomeno mafioso, sia la coesistenza di specifici interessi, all’interno delle stesse istituzioni, all’eliminazione del pericolo costituito dalla determinazione e dalla capacità del generale.”

Tornando ai giorni nostri, è deplorevole e molto negativo che il Presidente della Regione Sicilia, Rosario Crocetta, non si sia recato alle celebrazioni in memoria del Generale. Sono state deposte sette corone di fiori, davanti alla lapide di via Carini ripulita dal Comune di Palermo, dopo le polemiche innestate da foto e critiche di Rita Dalla Chiesa. Una cerimonia ufficiale con il ministro dell’Interno Angelino Alfano, raccolto accanto alla corona del presidente della Repubblica.  La figlia del generale, però, a sorpresa ha deciso di mettere sotto la corona del Capo dello Stato, un cuscino di rose bianche a lei inviato dal “Capitano Ultimo”, nome in codice del colonnello dei carabinieri Sergio De Caprio, a Palermo processato con il generale Mori per la mancata perquisizione della villa bunker di Totò Riina.

Accanto le altre corone, tra cui quella dell’Assemblea regionale collocata dal vice presidente Giuseppe Lupo e della Regione rappresentata dalla vice presidente Mariella Lo Bello, ma non dal governatore Rosario Crocetta. E Rita Dalla Chiesa ha rilevato l’assenza: «È in vacanza Crocetta? Non gli interessa il generale Dalla Chiesa? Questa me la lego al dito…». Poi stringe tante mani e ai cronisti rilascia parole pesanti: «So riconoscere dagli occhi chi mi stringe la mano perché sente di farlo e chi è costretto dalle circostanze…». La figlia ha proseguito, commossa: «Sento che Palermo cambia. E infatti ho preso casa a Mondello. Per abitare qui. A Palermo sento mio padre vicino più che altrove…». Vede molte persone affacciate a finestre e balconi sulla strada luogo di memoria e sentenzia: «Quella sera non c’era nessuno che guardava, nessuno vide niente. Adesso i palermitani ci sono. Forse è anche questo un segnale del cambiamento».
Assente il figlio, Nando Dalla Chiesa, impegnato a Milano per un’altra commemorazione del padre, in via Carini arrivano i messaggi del presidente Sergio Mattarella e dagli Stati uniti quello del presidente del Senato Piero Grasso.

Di certe polemiche non se ne sentiva davvero il bisogno in questo giorno in cui tutti avremmo dovuto esser uniti nel ricordo  di un grande uomo.

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